“Questa è una grande vittoria per ogni donna che si rialza dopo essere stata demolita, e un’enorme sconfitta per ogni bullo che ha cercato di tenere a freno una donna”. La scrittrice Jean Carroll ha così commentato il verdetto della giuria che ha condannato Donald Trump a versarle 83,3 milioni di dollari di risarcimento per averla diffamata negando una aggressione sessuale. La sentenza, le ha fatto eco la sua avvocata Roberta Kaplan, dimostra che nessuno è al di sopra della legge, “nemmeno i ricchi, nemmeno i famosi, nemmeno gli ex presidenti”.
“C’è un modo per opporsi a qualcuno come Donald Trump che si preoccupa più della ricchezza, della fama e del potere che del rispetto della legge”, ha proseguito Kaplan secondo la quale “opporsi ad un bullo richiede coraggio e audacia, ci vuole qualcuno come Jean Carroll. Ringraziamo la giuria per aver difeso lei e lo stato di diritto”.
Per Trump si tratta della seconda condanna civile a New York nel caso Carroll e di una nuova batosta giudiziaria in piena campagna elettorale per la Casa Bianca: una giuria di sette uomini e due donne lo ha condannato dopo solo tre ore. Il caso risale al 2019 quando il presidente Trump ha negato l’aggressione avvenuta 30 anni prima in un lussuoso grande magazzino della Grande Mela.
Il tycoon non era in aula alla lettura del verdetto. Si tratta di una somma astronomica, molto più alta di quella attesa, tra i 18,3 milioni di danni “compensatori” (per lo stress emotivo, il danno alla reputazione e quindi il mancato guadagno) e ben 65 milioni di danni punitivi (come deterrenza contro ulteriori diffamazioni). La difesa di Carroll aveva chiesto 24 milioni di dollari, mentre i periti avevano stimato i danni tra i 7 e i 12 milioni di dollari. Lo scorso maggio il tycoon era già stato riconosciuto responsabile della stessa violenza, oltre che di diffamazione, e costretto a pagare 5 milioni di dollari.
Immediata la reazione di The Donald sul suo social Truth: “Assolutamente ridicolo! Sono completamente in disaccordo con entrambi i verdetti e farò appello contro tutta questa caccia alle streghe diretta da Biden contro di me e il Partito Repubblicano. Il nostro sistema legale è fuori controllo e viene utilizzato come arma politica. Hanno eliminato tutti i Diritti del Primo Emendamento. Questa non è l’America!”.
Il verdetto arriva alla fine di un processo tesissimo, dove Trump è stato minacciato di essere espulso dall’aula per le sue intemperanze e i suoi commenti a voce alta contro la sua accusatrice. Così come uno dei suoi avvocati è stato minacciato di finire in galera per aver continuato l’arringa oltre il tempo concesso. Il tycoon è riuscito a testimoniare giovedì soltanto per pochi minuti: il giudice gli aveva consentito di rispondere solo con un sì o un no alle domande, per evitare di trasformare il processo in un comizio elettorale, come tenta di fare l’ex presidente in tutte le occasioni. Così non ha potuto che confermare la sua precedente deposizione, ossia che non ha mai incontrato nè aggredito Carroll.
“È una menzogna, e poi non era neppure il mio tipo”, aveva detto in passato, continuando non solo a negare l’episodio, ma accusando la scrittrice di aver cercato un pò di pubblicità per vendere le sue memorie, quelle dove rivelò per la prima volta l’aggressione. Secondo la versione della donna, il tycoon le usò violenza quasi 30 anni fa in un camerino di prova di Bergdorf and Goodman, i lussuosi grandi magazzini sulla Fifth Avenue di Manhattan, dove lui le aveva chiesto consigli per regalare degli indumenti intimi ad un’amica. Una denuncia ritenuta fondata lo scorso maggio. Per questo in questo secondo processo la giuria doveva solo limitarsi a stabilire i danni dell’ennesima diffamazione.
Ma il verdetto è andato oltre ogni previsione e assesta un brutto colpo all’ex presidente, anche agli occhi dell’elettorato femminile. “Donald Trump ha distrutto la mia reputazione e ha continuato a mentire. Un tempo ero una rispettata editorialista, ora sono conosciuta come una bugiarda, una truffatrice e una matta e ora sono qui per riprendermi la mia reputazione“, si era difesa Carroll in aula citando le offese subite sui social.