“La couture è il territorio dell’impossibile e della cura. Il suo valore sta nel tempo delle persone che lavorano in atelier per trasformare un oggetto in qualcosa di unico”. È in queste parole pronunciate da Pierpaolo Piccioli poco prima di far sfilare la sua nuova, straordinaria, collezione di Hoaute Couture Valentino Le Salon, che si racchiude tutto il senso profondo dell’alta moda che abbiamo visto andare in scena in questi quattro giorni di sfilate parigine. Nella settimana della couture per la Primavera/Estate 24-25, le passerelle sono tornate ad essere il campo di gioco degli stilisti, che hanno potuto dare libero sfogo alla propria fantasia esplorando l’arte dell’impossibile. Il risultato? Creazioni sempre più lussuose e uniche, destinate solo ad un’élite di persone – il famoso 1% -con portafogli praticamente illimitati.
La couture ritorna ad a essere un’alta sartoria di eccellenza, una fucina di capolavori artigianali accessibili soltanto ad una selezionatissima clientela in grado di investire cifre a cinque o sei zeri per indossare creazioni speciali. Abiti che richiedono migliaia di ore di lavoro rigorosamente manuale diventano così il simbolo di un talento e un savoir faire da custodire e tramandare, mentre borsette che arrivano a costare anche 90 mila euro si trasformano in accessori paragonabili a vere e proprie opere d’arte. Tanto che anche un’icona come Giorgio Armani, dopo aver stupito il pubblico con una sfilata innovativa ed emozionante, ha riconosciuto che questa sua collezione Privé è la più costosa che abbia mai fatto. Esemplare, in tal senso, l’abito con la gonna composta da 400 fazzoletti di chiffon impalpabile cuciti a mano per formare un vortice di petali: ci sono volute oltre 600 ore di lavoro per realizzarla.
Eppure, è fondamentale ricordare che questi capolavori non sono solo uno spettacolo che monopolizza l’attenzione su Instagram e TikTok, ma un pilastro fondamentale nel marketing delle case di moda. Sì, perché le immagini di queste sfilate che si tengono a Parigi, la città dei sogni per eccellenza, in scenari unici e alla presenza dei divi di Hollywood (da Jennifer Lopez a Kylie Jenner, solo per citare due nomi) circolano poi ossessivamente per giorni e giorni sui social, alimentando il senso di fascinazione del grande pubblico nei confronti dei brand del lusso. Che siano abiti da favola o avvenieristici come quelle di Schiaparelli, i capi dell’alta moda sono completamente liberi da esigenze produttive e commerciali. Ancora oggi sono infatti tutti pezzi unici, costosissimi, che i marchi realizzano su ordinazione e rigorosamente su misura, per lo più per le celebrity che li sfoggiano sui red carpet o per le mogli degli sceicchi: “È già tanto se si vendono 2 pezzi per ogni modello della collezione”, ci confida un insider. E sebbene i loro ricavi costituiscano a dir tanto il 5-6% del fatturato delle maison, queste continuano ad investirvi perché il ritorno d’immagine che gli arriva dalle sfilate Haute Couture è pazzesco e gli serve per vendere poi profumi, cinture e borsette da cui gli viene il vero guadagno.
Ecco allora che quando i designer hanno carta bianca, nascono meraviglie come quelle ideate da Gherardo Felloni per Roger Vivier. In una stanza segreta al secondo piano di uno storico palazzo di Rue du Faubourg Saint-Honor borse gioiello si mimetizzano tra i fiori. Dodici pezzi unici, tutte variazioni dell’iconico modello Viv’ choc, vanno a comporre la seconda collezione della linea “Pièce unique”. Sono tutti pezzi unici, come dice il nome: Felloni ha dedicato un’attenzione straordinaria ai dettagli, lavorando su ogni modello singolarmente per creare un’atmosfera magica con rose, gigli, margherite, violette e dalie ricamate che formano prati primaverili. Piume dipinte a mano si trasformano in petali e fili d’erba, fluttuando tra paillettes iridescenti e cristalli. Ispirandosi alla sua collezione privata di gioielli, Felloni ha messo al centro la maestria degli artigiani della maison per creare vere opere d’arte. Per realizzare ogni borsa ci volgiono dalle 30 alle 60 ore di lavoro manuale negli atelier tra Italia e Francia e questo fa sì che vengano a costare dai 50 ai 90 mila euro. Quanto un appartamento in provincia, insomma. Quando si affronta il tema del prezzo, Gherardo Felloni sottolinea la complessità del lavoro sartoriale richiesto: “Visto il lavoro che c’è dietro, costano quel che valgono”. C’è la “Roi Soleil” che evoca il Giglio di San Giovanni con una cascata di piume arancioni dipinte a mano, mentre la “Dejeuer sur l’herbe”, ispirata all’omonimo quadro, ricrea prati di calendule appena sbocciate, con piume gialle al posto dei petali e cristalli neri che replicano i pistilli.
Spazio alla creatività anche da Viktor & Rolf: il visionario duo di stilisti belgi ha presentato a Parigi una collezione fortemente concettuale, un tributo alle mani degli artigiani che lavorano negli atelier, maneggiando gli strumenti della couture con maestria. Così, in una scuola nel 5° arrondissement, tra un’atmosfera di bianco acciecante e luce fredda e il tipico rumore preciso delle lame delle forbici da sartoria in sottofondo, hanno messo in scena uno spettacolo unico, riflettendo sulla costruzione e decostruzione dell’abito, portando avanti il tema dei tagli in un contesto teatrale che diventa quasi thriller.
L’intera collezione è una narrazione visiva della trasformazione dell’abito, dalla sua forma iniziale alla ricomposizione dello stesso in pezzi tagliati e scomposti. “Squadre” di modelli procedono sulla passerella, ciascuno mostrando una diversa fase del taglio della forbice: prima l’abito perfetto con forme borghesi bon ton, poi via via altre 3 versioni sempre più tagliuzzate e ricomposte. Le lacerazioni diventano motivi ornamentali, con gli abiti da sera a crinoline a strati che perdono la parte centrale, i fourreau che svelano il bustier della lingerie, e i tailleur che perdono parti della giacca, lasciando altre parti alzarsi sulla schiena come una baschina. Il colore predominante è il nero, intervallato da tocchi di nudezza che fanno del corpo parte integrante dell’abito. Così Viktor & Rolf, già noti per il loro sarcasmo e la loro conceptualità, offrono una riflessione intorno al potere del couturier, celebrando la maestria sartoriale e l’espressione creativa.
Ecco allora che, in un mondo in cui il lusso non conosce confini, la couture emerge come un rifugio per i direttori creativi e una manna per chi cerca l’ineguagliabile, un’esperienza che va oltre il semplice indossare un abito. La sua essenza risiede nell’arte, nella dedizione e, soprattutto, nella possibilità di scrivere una pagina di storia della moda. Anche se questo è un privilegio appannaggio di pochissimi.