Paolo – il nome è di fantasia – non ci ha neppure provato. Sapeva che quella strada sarebbe stata per lui l’ennesima battaglia sfiancante. Piuttosto che inviare al Comitato etico regionale, attraverso la Asl di appartenenza, la richiesta di avere accesso alle procedure di suicidio medicalmente assistito, ha preferito lasciare Bari e andare in Svizzera e porre fine lì alle sofferenze, insostenibili, che un incidente stradale gli ha causato. Eppure Paolo avrebbe potuto scegliere di morire a casa sua. Nella sua città, Bari. Perché la Puglia è l’unica regione in Italia ad avere approvato, ormai un anno fa, una delibera che disciplina il “fine vita”. O almeno, dovrebbe. Perché, in realtà, quella delibera che avrebbe potuto, nulla di fatto ha cambiato.
Prima un passo indietro: la Puglia, come nei giorni scorsi il Veneto, ha provato a dotarsi di una legge sul suicidio medicalmente assistito. La proposta di legge a firma del calendiano Fabiano Amati approdò una prima volta nell’assise regionale il 14 giugno del 2022, una seconda il 5 ottobre dello stesso anno e una terza, il 18 gennaio del 2023. Nei primi due casi fu bocciata dallo stesso centrosinistra, nel terzo caso – con un pretesto – si preferì affossare anche solo la discussione generale. In quella occasione, essendo nel frattempo arrivata la sentenza della Corte Costituzionale che, di fatto, stabiliva come il suicidio medicalmente assistito in Italia non è un reato “a patto che ci siano precise condizioni”, la giunta decise di dare quantomeno un segnale. Di qui la delibera, approvata in meno di 24 ore, che istituiva all’interno del Policlinico di Bari un Comitato Etico, organo territorialmente competente a rendere il parere sulle richieste pervenute dalle singole Asl.
Sembrava fatta. Ma a distanza di un anno le cose non sono andate come ci si aspettava. L’inghippo sta nel fatto che non è stabilito un tempo massimo entro il quale il Comitato deve decidere caso per caso, ma solo che si dovrebbe esprimere “nel più breve tempo possibile”. Quel tempo non è ancora arrivato. Perché al Comitato non sono mai pervenute istanze e richieste. E né le Asl hanno ottemperato ad un altro punto, previsto in delibera: “Assicurare alle persone in condizioni corrispondenti a quelle enucleate dalla Corte costituzionale” l’accesso alle procedure di suicidio medicalmente assistito nonché “a fornire tutti i chiarimenti necessari a pazienti, familiari, associazioni e chiunque abbia interesse”. Di tutto questo non sembra esserci traccia. E lo sostiene, con amarezza, Nino Sisto, uno dei volontari del telefono bianco dell’associazione Luca Coscioni. “Le persone che decidono di accomiatarsi dalla vita – ci spiega – sanno che i tempi saranno inevitabilmente lunghi, per questo preferiscono un ultimo viaggio per la Svizzera piuttosto che morire a casa propria. Ma sono ancora pochi quelli che ci chiamano e che sanno dell’esistenza della delibera pugliese perché le Asl non hanno reso pubblico nulla. Ma poi cosa significa nel più breve tempo possibile? I tempi bisogna disciplinarli per produrre effetti concreti”, fa notare.
Lisa, invece, lo sapeva e ci ha provato. Lei, pugliese ma residente nel Lazio, era ormai incapace di muovere anche solo un muscolo. Dopo essersi vista rigettare la richiesta di accesso al suicidio assistito nel Lazio, ha provato a richiederla in Puglia. La risposta non è arrivata in tempo. Lisa è morta prima. “Ecco cosa intendo per disciplinare i tempi”, è il commento di Nino Sisto. Ma la vicenda del Veneto ha fatto tornare prepotentemente in superficie anche la questione pugliese. In Consiglio regionale, Amati proverà a far esaminare per la quarta volta la sua proposta. “La delibera è qualcosa, certo. Ma è sufficiente? Penso di no”. “La Puglia potrebbe ancora essere la prima regione italiana ad attuare con legge regionale il procedimento indicato dalla Corte costituzionale, ed invece siamo ancora nell’incertezza. Uno stato di limbo ingiustificato – aggiunge Amati – poiché non si tratta di decidere su SÌ o NO al fine vita, ma solo di attuare con norme chiare il procedimento indicato dalla Corte costituzionale. Rendere cioè più agevole l’esercizio di un diritto civile, che non può essere ostacolato per motivi attinenti a dinamiche politiche o convincimenti religiosi”.
“È spesso nelle carenze normative sulle questioni più pratiche che si nasconde l’effetto dell’elusione di norme e principi che, in teoria o sulla carta – dice riferendosi alla delibera – ci appaiono già conseguiti. Per questo – conclude – una legge regionale è ancora la cosa più opportuna da farsi”. Ma che la legge in Puglia non arriverà, ne è certo l’assessore regionale alla Sanità, Rocco Palese, secondo cui non si riuscirà ad approvare nulla in Consiglio regionale. Del resto dice “non abbiamo la fila dietro la porta. La delibera – assicura a ilfattoquotidiano.it – c’è, è completa e ottempera a quanto disposto dalla Corte Costituzionale. “Bisogna andare in Parlamento, farsi sentire e risolvere il problema lì. Alle Regioni spetta l’organizzazione, come abbiamo fatto con la delibera, ma nulla più. Se poi bisogna fare propaganda su ciò che merita rispetto, non ci sto. Inutile perdere tempo – conclude Palese – è il momento che lo Stato si assuma le sue responsabilità”.