L’apoteosi è completa. Sono passati esattamente 17394 giorni da quel 14 giugno del 1976. Quasi 48 anni di speranze, delusioni, attese, frustrazioni. È un giorno storico non solo per il tennis italiano, ma per tutto lo sport azzurro. Jannik Sinner è campione agli Australian Open, il primo italiano nella storia: è il suo primo titolo del Grande Slam in carriera. Nessun azzurro prima di lui era mai riuscito a trionfare in un Major giocato sul cemento. L’azzurro ha battuto in finale il numero 3 del mondo russo Daniil Medvedev al quinto set con il punteggio di 3-6 3-6 6-4 6-4 6-3. Un’impresa incredibile, arrivata dopo una rimonta partita quando Sinner era sotto due set a zero, una partita che sembrava compromessa, segnata, finita. Una vittoria di testa prima che di tennis e che rappresenta il naturale esito di un torneo sostanzialmente dominato, in cui sono stati messi in fila Botic van de Zandschulp, Jesper De Jong, Sebastian Baez, Karen Khachanov, Andrey Rublev e, soprattutto, il numero 1 del mondo Novak Djokovic. Per Sinner si tratta il titolo numero 11 della carriera, che lo rende anche il più vincente italiano della storia del tennis, staccando definitivamente Adriano Panatta. Niente da fare per Medvedev, che perde la quinta finale Slam in carriera, la terza qui a Melbourne dopo quelle del 2021 e del 2022. Le altre due sconfitte sono arrivate nel 2019 e nel 2023 agli Us Open. L’unica vera consolazione per lui è quella di aver mantenuto la terza posizione mondiale.
La costruzione di un successo
Il carattere, la mentalità, quella parte così centrale nel gioco del tennis. Quella che fa la differenza tra un giocatore normale e un campione e che arriva in soccorso soprattutto in giornate come queste, quando il gioco viene appesantito dalla pressione. È il segreto di questo trionfo pronosticato, desiderato, invocato, cercato, sofferto e alla fine conquistato. Il primo Slam della carriera di Jannik Sinner rappresenta il completamento di una rivoluzione paziente. Passo dopo passo, momento dopo momento, delusione dopo delusione. Un processo di crescita costante quanto cosciente, profondamente ragionato in ogni passaggio chiave, anche quando sembravano azzardi quantomeno rischiosi. Il cambio nel febbraio 2022 da Riccardo Piatti a Simone Vagnozzi (al quale poi si è affiancato Darren Cahill) è stato uno di quei momenti, e alla fine ha avuto ragione lui. Dopo la parte finale della scorsa stagione a Sinner mancava solo l’esame finale in uno Slam, e l’azzurro non si è accontentato solo di superarlo, ma ha fatto molto di più. Ha trionfato riuscendo anche nell’impresa di battere Novak Djokovic in semifinale sulla Rod Laver Arena. Qualcosa che non era mai riuscito a fare nessuno. Per dare un’idea della grandezza della cosa, Roger Federer in quattro semi contro Nole ha vinto appena un set.
Questo successo agli Australian Open ha origini lontane e segue un percorso composto da molte tappe intermedie: il primo titolo nel 250 di Sofia nel 2020, il primo quarto di finale al Roland Garros nel 2020 a 19 anni, il primo Masters 1000 di Toronto, la prima semifinale Slam a Wimbledon 2023, i tabù spezzati contro Medvedev e Djokovic, la finale alle Atp Finals 2023, la storica Coppa Davis nel novembre scorso. Adesso il cambio di prospettiva è completo, un nuovo capitolo è cominciato. O per meglio dire, una nuova storia. E tutto questo ha un unico e solo punto di svolta, la semifinale di Coppa Davis contro Djokovic. La vittoria con i tre match point annullati al serbo è stato un detonatore psicologico e un volano capace di trascinare Sinner verso traguardi più grandi. Uno choc emotivo che ha scosso dalle fondamenta ogni equilibrio mentale di Jannik.
Azzurro tennis
Con gli Australian Open però Sinner non ha portato solo sé stesso su un altro livello, ma anche tutto il movimento italiano. Dopo la Coppa Davis, il tennis azzurro torna a trionfare in una prova del Grande Slam, completando così l’ascesa iniziata quasi 6 anni fa con la semifinale al Roland Garros di Marco Cecchinato. Ormai non ci sono più dubbi su quale sia attualmente il miglior movimento del mondo. La speranza ora è che questo titolo sia di ispirazione anche per gli altri protagonisti azzurri, a cominciare da Lorenzo Musetti e soprattutto Matteo Berrettini, già finalista Slam a Wimbledon nel 2021.
Jannik Sinner diventa il terzo tennista italiano nella storia a vincere uno Slam. Prima di lui ci erano riusciti solo Nicola Pietrangeli e Adriano Panatta, entrambi al Roland Garros. Il primo nel 1959 e nel 1960 (vittorie rispettivamente sul sudafricano Wermaak e il cileno Ayala), il secondo invece nel 1976 (successo contro lo statunitense Solomon). Nel femminile invece si annoverano i titoli di Francesca Schiavone al Roland Garros del 2010 su Samantha Stosur e l’affermazione di Flavia Pennetta agli Us Open 2015 su Roberta Vinci. Le finali azzurre perse invece sono state sette: cinque al Roland Garros, una a Wimbledon e una agli Us Open.
Uno sguardo all’orizzonte
Duemila punti che consentono a Sinner di balzare in vetta alla Race e di mettere nel mirino nuovi obiettivi. Nuovi orizzonti aperti dal cambio di dimensione che una vittoria Slam porta in dote. In primis la posizione numero 3 del mondo, lontana circa 400 e detenuta proprio da Daniil Medvedev. Nessun italiano si è mai spinto così in alto in classifica. Ma un titolo Slam ti costringe a guardare anche oltre, a puntare ancora più in alto: il numero 1 del mondo. È quello adesso il grande traguardo da raggiungere. Attualmente Sinner si trova a circa 1500 punti da Novak Djokovic, 9855 a 8310. Difficile che l’assalto arrivi prima del prossimo torneo di Wimbledon. La stagione su terra sarà lo snodo cruciale per capire se Jannik potrà ambire già in questa stagione al massimo riconoscimento che il tennis mette in palio. Tra aprile e giugno dell’anno scorso l’azzurro ha vissuto il suo momento più complicato del 2023. Tradotto: la superficie rossa è un potenziale terreno di conquista. E poi ci sono i Masters 1000, le Atp Finals e gli altri Slam ovviamente. La speranza della vittoria si deve ora trasformare nello scopo primario, l’essenza di ogni sorteggio di tabellone. Non un obbligo di trionfo però, ma solo la piena consapevolezza di uno status conquistato con pazienza, abnegazione, talento e sacrificio, che ha oltrepassato critiche, insuccessi e scettici.