C’è una “lacuna istruttoria” nell’acquisizione delle chat, scambiate tramite l’applicazione di messaggistica criptata Sky ECC, alla base dell’assoluzione di Vincenzo Amato, accusato di essere al vertice di un’organizzazione a delinquere dedita al traffico internazionale di cocaina. Lo scrive la quinta sezione della Corte d’appello di Milano, presieduta da Roberto Arnaldi, con a latere Ilaria De Magistris e Cristian Ravera, nelle motivazioni della sentenza con cui nell’ottobre scorso ha ribaltato la condanna a 16 anni emessa dai giudici del primo grado.
Il blitz Arkan – Amato, pugliese di 46 anni originario di Galatina, in provincia di Lecce, era già inserito nell’elenco dei cento latitanti più pericolosi. Nel giugno del 2022 era stato catturato in Spagna nell’ambito dell’indagine “Arkan” coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano: a suo carico c’era già una condanna definitiva a 19 anni e cinque mesi, sempre per traffico di stupefacenti, che sta scontando nel carcere di Sollicciano a Firenze. Gli inquirenti avevano intercettato numerose chat, scambiate tramite l’applicazione di messaggistica criptata Sky ECC, tra un Id che era stato attribuito ad Amato e quello di Andrea Deiana, detto “Banksy“, titolare di una galleria d’arte di Amsterdam. Considerato un importantissimo broker internazionale di cocaina, Deiana che era stato arrestato un mese prima nella stessa operazione.
Il processo e la sentenza Renzi – A chiedere l’assoluzione era stato il suo difensore, l’avvocato Gioacchino Genchi, noto esperto d’informatica e telefonia. Il legale aveva fondato il suo ricorso in Appello lamentando la mancanza dell’indicazione, da parte della pubblica accusa, “delle modalità tecniche di effettuazione delle operazioni di intercettazione e, in particolare, del procedimento tecnico utilizzato dagli inquirenti per l’accesso e l’estrazione dei dati dalle piattaforme Enrochat e SkyEcc“. Ma anche sulla “mancanza della relazione fra il server e il singolo apparecchio criptato, con conseguente impossibilità di ricostruzione delle modalità tecniche di intercettazione e inutilizzabilità delle chat acquisite”. Genchi aveva anche messo in dubbio la riconducibilità dell’Id della piattaforma SKY ECC che gli investigatori avevano attribuito ad Amato, sottolineando come non ci fossero prove che il telefono criptato fosse sempre stato utilizzato dal suo assistito. L’ex vicequestore aggiunto aveva chiesto l’inutilizzabilità di quelle chat anche alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale sul caso che contrappone Matteo Renzi alla procura di Firenze nell’indagine sulla fondazione Open. In base a quella sentenza chat e mail devono essere considerate corrispondenza e non semplici documenti, quindi i pm non potevano sequestrarli senza l’autorizzazione del Senato. Sulla base di quella decisione la Corte di Cassazione ha ribaltato il proprio orientamento su un tema delicatissimo: le regole per sequestrare i messaggi presenti sui telefonini criptati, sempre più utilizzati dai narcos e dai criminali di alto livello. Anche quel tipo di chat devono essere considerate corrispondenza e dunque si possono acquisire solo dopo il via libera di un giudice. Ecco perché recentente la Suprema corte ha aperto la strada alla scarcerazione di due presunti trafficanti di cocaina.
La sentenza dei giudici: “Mancano i messaggi di risposta” – Nel caso di Amato la Corte d’Appello ha dato ragione a Genchi, ma citando solo indirettamente la sentenza della Corte Costituzionale. Secondo i giudici di Milano, infatti, l’imputato di Galatina va assolto perché “emerge la sussistenza di una lacuna istruttoria in ordine all’acquisizione delle chat, che avrebbe potuto essere colmata sin dall’inizio dell’indagine attraverso la acquisizione di dette chat e che, tuttavia, non è stata colmata per una scelta investigativa”. Nella sentenza si legge che “le chat a prescindere dalla questione della loro riconducibilità, constano esclusivamente dei messaggi inviati da Deiana all’utilizzatore dell’Id attribuito ad Amato e mancano dei messaggi di risposta da quest’ultimo a Deiana, così come mancano i dialoghi fra Amato e la parte venditrice, con cui, secondo l’ipotesi accusatoria, l’appellante avrebbe svolto il ruolo di intermediario”.
“Mera ipotesi investigativa”- Gli investigatori avevano spiegato come la mancanza dei messaggi possa essere spiegata con l’attivazione da parte di Amato della funzione che permette di cancellare automaticamente le chat inviate. Ma secondo i giudici questa è una “mera ipotesi investigativa” e dunque non consente “di formulare una spiegazione univoca in ordine alle ragioni della mancanza dei messaggi provenienti dal telefono criptato avente Id, attribuito ad Amato”. In più, è stato dimostrato come le stesse chat “offrissero una visuale molto parziale della vicenda, essendo costituite esclusivamente dai messaggi scritti da Deiana e mancanti di quelli inviati da Amato e, in ogni caso, che tali messaggi non consentissero di ritenere dimostrato l’effettivo contributo apportato da Deiana all’opera di intermediazione”. Per le stesse chat, tra l’altro, Deiana è stato giudicato separatamente con il rito abbreviato ed è stato assolto, senza che la procura abbia poi fatto appello. Ecco perché i giudici scrivono che “tali lacune probatorie non consentono di ritenere dimostrato il ruolo di intermediazione effettivamente svolto da Amato”. L’accoglimento di questo punto del ricorso di Genchi è bastato per assolvere l’imputato per non aver commesso il fatto ed esonerare i giudici “dall’esame e dalla conseguente pronuncia con riferimento a tutte le altre questioni proposte”. Compresa la sentenza della Consulta.
La nota di Genchi – Per commentare la sentenza Genchi ha diffuso una nota in cui spiega di aver provato “in modo documentale che il dispositivo mediante cui avvenivano le chat veniva utilizzato da altro soggetto che ha coabitato con l’Amato nel corso della sua latitanza”. L’avvocato spiega come sia “stato inoltre dimostrato l’acquisizione delle chat è avvenuta in modo illegale, citando la sentenza della Corte costituzionale sul caso Renzi”. Genchi poi aggiunge: “A prescindere dalle recenti pronunce della Suprema Corte di Cassazione, sulle quali si attende il pronunciamento delle Sezioni Unite sarebbe l’ora che il Parlamento assumesse una volta e per tutte delle iniziative legislative per vietare e sanzionare la ‘pesca a strascico’ dei più moderni sistemi di intercettazione e le indiscriminate incursioni negli aspetti più intimi della vita privata di ognuno”.