“È evidente che l’antisemitismo resti un problema strutturale nelle nostre società, ma lo è anche l’antipalestinismo, sebbene di quest’ultimo si parli molto meno. In realtà sono due facce della stessa medaglia ed entrambe sono radicate nell’odio verso l’altro per una viscerale ignoranza“. Sono le parole pronunciate ai microfoni di 24 Mattino (Radio24) da Lorenzo Kamel, professore associato di di Storia Contemporanea all’Università di Torino, direttore delle collane editoriali dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) e direttore scientifico del New-Med Research Network.

Lo storico, che ha un confronto col giornalista David Parenzo sul conflitto israelo-palestinese, a riguardo sottolinea: “In alcune trasmissioni televisive alle quali ho partecipato, soprattutto in questi ultimi mesi, l’antipalestinismo non solo era presente, ma era anche tollerato in qualche maniera. Spesso viene promosso da persone che non conoscono una sola parola in ebraico o una parola araba o non hanno mai lavorato su fonti primarie locali – continua – o non hanno mai messo piede nemmeno una volta nella Striscia di Gaza. Eppure si sentono titolati a parlare davanti a milioni di persone di tematiche che conoscono in maniera molto superficiale e in particolare dei palestinesi, non di rado con l’obiettivo di deumanizzarli. Io credo che la stella polare di ognuno di noi, in rapporto al passato e al presente, deve essere sempre l’umanizzazione dell’altro, chiunque sia il nostro altro”.

Kamel prende ad esempio proprio la persecuzione degli ebrei: “Auschwitz fu il punto finale di un processo. Il memoriale di Auschwitz ha ricordato che l’Olocausto non ha avuto un inizio con le camere a gas, ma l’odio si è sviluppato gradualmente con parole, con pregiudizi, con le espulsioni, con la deumanizzazione, con l’escalation della violenza“.
E torna sulla questione israelo-palestinese: “Ci sono dei problemi strutturali nell’affrontare obiettivamente il tema. Un problema importante è rappresentato dalla frequente narrativa che vuol fare iniziare il ciclo di violenze con l’attentato di Hamas il 7 ottobre. In realtà, è una storia molto più radicata nel tempo”.
Lo storico spiega: “Hamas nacque nel 1987, 20 anni dopo l’inizio dell’occupazione della Striscia di Gaza. I suoi fondatori furono Yazuri, Rantissi e Yassin. Yazuri, la cui famiglia fu massacrata a Beit Dras quando aveva 7 anni, fu espulso e sotto le bombe fu portato con la forza a Khan Yunis. Rantissi nacque a Yibna, vicino a Giaffa: all’età di un anno fu espulso con la sua famiglia dalle forze israeliane e venne portato a Khan Yunis. Yassin, brutalizzato a 12 anni ed espulso da al-Jura, che venne raso al suolo. fu portato ad al-Shati, sulla costa della Striscia di Gaza”.
E sottolinea: “Condanniamo la violenza di Hamas, il che è il punto fondamentale di partenza. Ma bisogna conoscere e rispettare le cicatrici della storia, altrimenti rimaniamo sempre su una superficie dei fatti che parla alla pancia di chi ci ascolta, ma forse non alla testa”.

Critico con l’intervento di Kamel è Parenzo: “Il professor Kamel sa meglio di me che il 7 ottobre i terroristi di Hamas hanno rapito e violentato non i soldati israeliani, ma cittadini israeliani, massacrandoli e sgozzandoli al grido di ‘yahudi’, che in arabo vuol dire ‘ebreo’. Quello che è avvenuto il 7 ottobre è diverso dai conflitti arabo-israeliani precedenti, che erano guerre tra lo Stato di Israele e gli Stati arabi. Il 7 ottobre, invece, c’è stata l’uccisione di civili ebrei, non uno scontro tra eserciti“.
E aggiunge: “Qui non si tratta di demonizzare il popolo palestinese ma di capire come mai nel corso degli anni noi non abbiamo mai visto un solo David Grossman, un solo Amos Oz, un solo Rabin nelle file del popolo palestinese. Oggi in Israele ci sono tanti intellettuali che denunciano il governo, nonché diverse manifestazioni di piazza contro Netanyahu. Dall’altra parte invece non vediamo nulla. Non credo che tutti i palestinesi siano terroristi, sarei uno stupido se lo pensassi – ribadisce – Ma mi chiedo perché in tutti questi anni non abbiamo mai visto un solo Grossman palestinese, cioè uno che si alza e dice: ‘Hamas è un gruppo terrorista’. La verità è che la società civile palestinese in questi ultimi 30 anni non è stata in grado di produrre un solo Grossman che urlasse contro i loro governanti. Questo è un dato di fatto”.

Dissente Kamel che spiega: “Ho vissuto anni in Israele e in Palestina. E le posso dire che quello che sostiene non è corretto. Ci sono tantissimi intellettuali palestinesi, li menziono nel mio libro L’alternativa. Oltre i muri (mentali e fisici) della Terra Santa. E non cito solo i loro nomi, ma anche le inziative intraprese”.
Il docente sottolinea che la deumanizzazione dei palestinesi è ben presente in Israele e menziona il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant che, annunciando “l’assedio totale di Gaza”, diede degli “animali umani” al popolo palestinese. E puntualizza: “In realtà, i palestinesi moltissime volte hanno manifestato in maniera pacifica, ma queste manifestazioni sono sempre state invisibili alle nostre latitudini. Io posso dire che ho partecipato a quelle manifestazioni nel 2009, ma erano, appunto, invisibili. È successo anche con la marcia del ritorno del 2018 – continua – ovvero una serie di manifestazioni pacifiche settimanali lungo la recinzione tra Gaza e Israele. Anche queste sono state piuttosto invisibili. In realtà, i palestinesi non hanno bisogno di un Gandhi, perché c’è una situazione strutturale che deve essere conosciuta”.

Kamel conclude: “Questo non è un conflitto religioso, ma un conflitto basato sull’odio tra le due parti. I palestinesi sono vittime dell’odio israeliano già dal ’48: villaggi rasi al suolo, donne stuprate, espulsioni. Una cicatrice enorme per i palestinesi. La violenza e la deumanizzazione dell’altro appartengono a entrambe le parti. Se qualcuno le vede solo per una parte, evidentemente non conosce bene o la storia o la realtà locale”.

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Dall’Aja una spinta a Israele a ‘ragionare’ ma l’intento di Netanyahu è ben diverso

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