Bagarre in Senato dopo un voto su un emendamento delle opposizioni sul salario minimo, durante l’esame della legge di delegazione europea nella commissione Politiche Ue. La proposta è stata messa ai voti senza il parere del governo e senza dichiarazioni di voto. Alla fine è stata bocciata di misura (8 voti a 7) anche grazie al voto del presidente della commissione, il senatore meloniano Giulio Terzi di Fdi. Quanto è bastato per far deflagrare la protesta delle forze di minoranza che hanno chiesto di rivotare immediatamente, contestando la legalità della procedura. Toni accesi e scintille in Commissione, dove nel frattempo sono arrivati i rinforzi per la maggioranza, due senatori della Lega, pronti a votare in caso di ripetizione del procedimento. Cosa che però il senatore Terzi non ha permesso, assumendosi la responsabilità del no alla richiesta delle opposizioni.
“Caos in commissione Affari europei, il presidente non riapre il voto sul salario minimo, l’opposizione protesta, eravamo in parità, poi arrivano chiamati altri due senatori di maggioranza. Gravissimo vulnus, mancanza assoluta di terzietà. Il voto è fantasma”, commenta su X Filippo Sensi, senatore del Pd. Il gruppo dem al Senato anticipa che “chiederà la convocazione della Giunta per il regolamento” per fare chiarezza su quanto avvenuto. “La maggioranza rischia di andare sotto ma si salva solo grazie al voto del presidente”, accusa il M5s. “Per prassi, lo stesso presidente non dovrebbe partecipare alle votazioni in quanto figura di garanzia. Anche stavolta, però, è stata operata una forzatura. Uno schiaffo a quasi 4 milioni di lavoratori poveri”, dicono i pentastellati dopo le proteste in Commissione. La replica del centrodestra arriva, tra gli altri, dal senatore forzista Pierantonio Zanettin: “In Senato, per effetto della riduzione dei parlamentari, la maggioranza nelle commissioni si regge con uno, al massimo due voti di scarto. È perciò normale che i presidenti di commissione votino i provvedimenti, altrimenti verrebbe meno il principio democratico della maggioranza”. Il senatore Terzi ha dunque “il diritto-dovere di votare, come tutti”.
Il nuovo incidente dopo che a novembre la Camera ha bocciato la proposta unitaria delle opposizioni su un salario minimo di 9 euro lordi all’ora facendo passare un emendamento di maggioranza che l’ha sostituita con una delega al governo. Una mossa che consente di disinnescare una possibile (e potenzialmente efficace) arma elettorale in vista delle Europee e buttare la palla avanti oltre quella data, tanto è vero che i sei mesi di tempi previsti dalla delega del Parlamento al governo scadono proprio a ridosso dei giorni in cui si apriranno le urne.