Da simbolo dell’ascesa cinese a monito per il futuro. A tre anni dalla dichiarazione di insolvenza del colosso immobiliare cinese Evergrande, che ha fatto tremare i mercati al punto di prospettare, un po’ frettolosamente, scenari alla Lehman Brothers, un tribunale di Hong Kong ne ha ordinato la messa in liquidazione. Una sentenza annunciata considerati gli oltre 300 miliardi di debiti in valuta estera accumulati dal gruppo, che non è riuscito a trovare un accordo con i creditori stranieri durante le trattative dello scorso weekend. La Borsa di Hong Kong ha chiuso in lieve rialzo ma le azioni di Evergrande sono invece crollate del 21% prima di essere sospese. Tutto accade nel silenzio, insolito, di Pechino, che potrebbe decidere di non applicare la liquidazione disposta dal tribunale hongkonghese per tutelare i progetti di sviluppo immobiliare già attivi nella Cina continentale e attutire così la caduta dell’ex campione nazionale.

Parabola Evergrande – “Il silenzio cinese è significativo” dice a Ilfattoquotidiano.it Filippo Fasulo, analista dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) esperto di economia. “Se da una parte a livello internazionale conferma le preoccupazioni sul fatto che l’economia cinese è in difficoltà, sul piano interno potrebbe invece diventare un indicatore positivo del fatto che il governo ha preso provvedimenti su quei settori che erano cronicamente instabili”, continua. Nella volontà di regolare il settore e contrastare le speculazioni, si è avuto un dato negativo sulla crescita dell’economia, ma si tratta, secondo Fasulo, di qualcosa di previsto, controllato. Lasciarsi alle spalle il gigante caduto, per provare a ritrovare la fiducia dei cittadini-consumatori in altri settori.

Il gruppo fondato dall’ex miliardario cinese Hui Ka Yan è in crisi da diverso tempo. Dopo essere stato protagonista dell’urbanizzazione e della crescita economica del Paese, è andato in default nel 2021, dopo che il governo cinese ha imposto restrizioni sui prestiti e sulle concessioni territoriali. Con un modello di business fondato pesantemente sul debito ad alimentare la bolla speculativa e l’economia cinese in progressivo rallentamento, diversi progetti immobiliari sono rimasti incompleti, con appartamenti invenduti e vuoti. Da quasi tre anni Evergrande è incapace di ripagare i propri debitori e nell’agosto 2023 ha presentato istanza di fallimento negli Stati Uniti. Anche il suo fondatore è caduto in disgrazia e dallo scorso autunno si trova agli arresti domiciliari indagato per “attività illecite”.

Salvataggio difficile – Per il momento il governo cinese non sembra avere intenzione di salvare Evergrande. Tuttavia, è da tenere presente che Hong Kong e Cina continentale sono regolate da due sistemi giuridici separati (per quanto l’ex colonia britannica sia sempre più influenzata dalla Repubblica popolare) e non è dunque scontato che l’amministrazione di Pechino accolga l’ordine di liquidazione per le filiali del gruppo presenti sul territorio. Dopo la stretta al settore che ha avuto ripercussioni sull’economia interna del Paese e sul sistema di “banche ombra” che hanno finanziato aziende del settore, lo scorso novembre il Consiglio di Stato cinese, il supremo organo amministrativo della Rpc, ha aperto un’indagine interna per affrontare “tematiche che ostacolano lo sviluppo economico, soprattutto quelle che riguardano le imprese private”. Un segnale che la Cina ha intenzione di continuare a regolamentare il settore, criticando il modello di sviluppo a debito come “antipatriottico”.

Più che una parabola del declino economico cinese, la storia di Evergrande racconta quindi il cambio di rotta del piano industriale del Paese e l’intenzione del presidente Xi Jinping di trasformarlo da “fabbrica del mondo” a hub di innovazione. “Quello del real estate è un settore che ha trascinato la crescita economica cinese degli ultimi decenni, ma che si è deciso di abbandonare dirottando gli investimenti verso una manifattura avanzata”, spiega Fasulo. Non è un caso che a seguito della sentenza dell’Alta corte di Hong Kong, il direttore generale di Evergrande, Shawn Liu, abbia espresso preoccupazioni su come l’ordine di liquidazione potrebbe danneggiare “gli altri segmenti del gruppo”. Il riferimento è in particolare a Evergrande New Energy Auto, divisione della società dedicata alle vetture elettriche. È questo il campo scelto dal governo cinese come nuovo propulsore dell’economia, tanto che a livello locale è corsa alla costruzione di impianti di produzione per veicoli elettrici anche nelle province storicamente più povere.

Anche qui però, l’ammonimento statale comincia a farsi più presente. Le autorità cinesi hanno invitato i funzionari locali a dosare gli investimenti nei progetti relativi ai veicoli elettrici, con il viceministro dell’Industria e delle Tecnologie dell’Informazione, Xin Guobin, che ha esortato a “non moltiplicare alla cieca” i progetti di sviluppo di questo tipo di bene. Secondo l’analista di Ispi però “nell’elettrico il vero ostacolo sono i dazi esteri, mentre la sovrabbondanza di produttori sarà risolta con i grandi come Byd che ingloberanno i più piccoli”. La Cina insomma ha voltato pagina. Evergrande avrà anche dato casa a milioni di cinesi della classe emergente, ma per il capitalismo di Stato, nessuno è più abbastanza importante da meritarsi un salvagente.

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