Paolo Landi, poliedrico consulente di comunicazione per aziende e, al fianco di Oliviero Toscani, direttore pubblicità Benetton; ma anche raffinato critico di narrativa straniera sul magazine online Doppiozero, commentatore impietoso delle gaffes dei politici su Lettera43 e brillante animatore dei salotti milanesi – dalle cui frequentazioni ha ricavato un delizioso pamphlet, Snob come Proust – ora è alle prese con ostici algoritmi, che tratta con leggerezza di scrittura e profondità di ragionamento in questo piccolo, densissimo libro: La dittatura degli algoritmi – Dalla lotta di classe alla class action (Krill Books).
È un altro Paolo Landi che si palesa ai nostri occhi: il disincantato commentatore di questa nostra epoca digitale. Lo avevamo già sgamato tre anni fa, quando era uscito Instagram al tramonto (La Nave di Teseo), la prima analisi approfondita sul social network da cui eravamo, tre anni fa molto più di oggi, tutti dipendenti. Landi non si atteggia a filosofo, preferisce continuare a vestire i suoi panni di comunicatore e guardare cosa fa la gente, partendo dall’osservazione senza sconti di se stesso: i suoi libri precedenti (pubblicati da Lupetti, Mondadori, Sperling & Kupfer, Einaudi, Bompiani, Baldini+Castoldi) sono un lucido invito a usare consapevolmente i media, a conoscerli, per approfittarne senza diventarne schiavi. C’è sempre un po’ la fissa del professore – Landi ha insegnato Comunicazione al Politecnico di Milano, allo Iuav di Venezia e all’Istituto Marangoni – una vena pedagogica preoccupata di trasferire a chi legge quel che lui ha capito. Senza spocchia, anzi una garanzia di chiarezza per i suoi pamphlet, sempre provocatori.
Con questo ultimo si è intestardito a dimostrare come il nuovo capitalismo digitale continui a fare il suo mestiere di sfruttarci ma in modi sempre più raffinati, senza che quasi ce ne accorgiamo. Parte con inedito ritratto di Chiara Ferragni, al netto del rispetto che Landi tributa all’influencer presa ad esempio per farci intravedere come cambierà il lavoro con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale: non una santa ma neanche da demonizzare, in un mondo nel quale saremo individui sempre più scollegati e sempre più soli. Tutto ci spinge verso la solitudine, sostiene Landi, che conclude il suo saggio proprio spiegando che è l’isolamento la condizione necessaria per la nostra subalternità alle leggi del capitalismo digitale: siamo operai che tutte le mattine versano gratuitamente la propria quota di contenuti a Zuckerberg, a Elon Musk, a Jeff Bezos e ai pochi altri proprietari di corporation (i social amerebbero il monopolio) che fanno profitti sul nostro zelo. Crediamo di usare Facebook, Instagram, X e TikTok per esprimere i nostri pareri, con l’illusione di combattere perfino delle battaglie, e consumiamo invece dei prodotti commerciali, senza essere consapevoli che qualcuno guadagna sulle informazioni che forniamo: i social sono usati praticamente da tutti gli abitanti della crosta terrestre, a partire dai nove anni (anche prima) in su.
Si parla di echo chamber, di cultura woke, dell’ossessione per il linguaggio politicamente corretto, della scomparsa delle fabbriche e degli uffici, della nuova mania di licenziarsi (la great resignation, come la chiamano gli americani) e di inquinamento digitale: temi tosti, acccompagnati dal digital artist Luca Trucca, autore della campagna social (qui nell’immagine). Nessuno si salva dalla dittatura…