Si apre finalmente la possibilità di garantire una vita sessuale alle persone detenute, a oggi da sempre negata nelle carceri italiane, a differenza di quanto accade in altri paesi europei. La Corte Costituzionale ha infatti reso nota la sua storica risposta al magistrato di sorveglianza del tribunale di Spoleto Fabio Gianfilippi – in un procedimento nel quale l’associazione Antigone aveva partecipato con un proprio atto di intervento – che la interrogava sul fatto se non fosse in contraddizione con i principi della Costituzione italiana la norma dell’ordinamento penitenziario che impone il controllo visivo del personale di custodia su tutti gli incontri che la persona detenuta effettua con i propri cari.
Quando infatti nel 1975 entrò in vigore la legge fondamentale che regola ogni aspetto della vita nelle carceri del paese, il legislatore decise che i colloqui del detenuto o della detenuta con i propri parenti o con terze persone autorizzate non potessero venire ascoltati dall’autorità, ma dovessero svolgersi sotto lo sguardo della polizia penitenziaria. La Consulta dichiara oggi “l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 della legge sull’ordinamento penitenziario, nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia”. Non solo il coniuge, dunque. La straordinaria sentenza apre alle coppie di fatto, e quindi anche alle coppie omosessuali.
Adesso i detenuti pretendono pure di fare sesso, si lamenterà sicuramente qualcuno. Ma se mettiamo da parte le lamentele e utilizziamo il ragionamento, è evidente come, se la pena deve avere come propria finalità quella di reintegrare il condannato all’interno della società, la privazione di una vita famigliare e affettiva pienamente vissuta costituisca un ostacolo alla finalità costituzionale della detenzione.
La negazione della sfera affettiva e sessuale è una lesione della dignità della persona troppo grande per essere compatibile con il senso di umanità della pena. Gli organismi internazionali sui diritti umani affermano chiaramente che la persona detenuta non perde i propri diritti, se non quelli direttamente connessi con lo stato di reclusione. Sostanzialmente, la libertà di movimento. Non si perde però il diritto a essere curati dalle malattie, il diritto allo studio, il diritto alla libertà di informazione, il diritto alla vita di coppia e via dicendo. Si tratterebbe altrimenti di punizioni illegittime che nulla hanno a che fare con quelle previste dal codice penale.
Purtroppo le carceri italiane sono piene di punizioni illegali. Il sovraffollamento che porta a vivere in spazi del tutto inadeguati ne implica senz’altro alcune. Il sistema penitenziario non è in grado di prestare la dovuta attenzione alle persone che tiene in custodia, perché sono troppe. Dall’inizio di questo 2024 sono già stati undici i detenuti che hanno scelto di togliersi la vita in carcere. Undici suicidi in meno di un mese, su una popolazione di circa 60.000 persone. Una piccola cittadina piena di tragedie.
Speriamo che la nuova sentenza della Corte Costituzionale possa costituire un punto di partenza per rendere la detenzione meno disumana. Adesso sta all’amministrazione penitenziaria e alla magistratura di sorveglianza trasformare un diritto sulla carta in un diritto effettivo.