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Il rinascimento saudita visto da Messi: spot (pagato da bin Salman) contro gli “stereotipi” sulle donne

“Andate oltre quello che pensate”. Mentre Amnesty International pubblicava una nuova denuncia sulle violazioni di diritti umani (inclusi quelli delle donne) da parte del regime di bin Salman, con questo slogan l’ufficio del Turismo saudita lanciava sui social un video promozionale con una star d’eccezione: il campione di calcio argentino Lionel Messi.

L’operazione si iscrive nella campagna di promozione estera del Paese intitolata “Saudi is more than you think”, l’Arabia Saudita è più di quello che immagini. L’obiettivo dichiarato della promozione è “abbattere gli stereotipi sul Regno”. “Ho scoperto quello che non avrei mai immaginato”, dice Messi nello spot, dove calcia una serie di palloni contro una serie di muri con scritte sopra delle frasi. I muri vanno in pezzi e compaiono immagini che dimostrano, nelle intenzioni della promozione, la ricchezza e l’apertura del Paese (il “rinascimento saudita”, per usare una nota espressione di Matteo Renzi).

Nelle prime sequenze l’obiettivo è marcatamente turistico. Sul primo muro da abbattere c’è scritto “È solo un deserto”, e quando Messi lo colpisce lo spettatore è messo davanti alla barriera corallina del Mar Rosso, i paesaggi montani di Aseer, la neve a Tabuk, la costa di Gedda e lo skyline di Riyadh. Su un secondo muro c’è scritto “Non succede mai niente”, e allora arriva una carrellata di grandi eventi di cui il Regno Saudita si è reso il fulcro mondiale grazie ai suoi petrodollari, come il gran premio di Formula E Diriyah, i voli in mongolfiera di AlUla, le notti elettroniche del MDL Beast.

A metà dello spot si arriva a uno stereotipo più complesso. “Le donne non possono” (“Girls can’t”), recita l’ultimo muro. Messi si mostra crucciato, alla fine fa calciare il pallone a una ragazzina con la maglia della squadra di calcio femminile saudita. Le immagini mostrano la campionessa di rally Dania Akeel, la Dj Cosmicat e Rayyanah Barnawi, la prima donna saudita nello spazio. Per qualche secondo si vede una donna velata alla guida, mentre accompagna una coppia di turisti biondi caucasici. Da notare il fatto che la bambina che calcia il pallone con Messi ha i capelli scoperti ed è manifestamente in età pre-puberale, quindi non le si applica ancora l’obbligo islamico dell’hijab.

Nella classifica del Global Gender Gap realizzata dal World Economic Forum, l’Arabia Saudita è al 127° posto su 153, in posizione stabile negli ultimi anni dopo aver sperimentato un grosso miglioramento intorno al 2017 (quando ha scalato 10 posizioni). Diversi report, tra gli altri di Human Rights Watch e Amnesty International, segnalano ancora la condizione di forte discriminazione delle donne nel Paese di bin Salman, soprattutto nell’ambito della famiglia e delle leggi su matrimonio e divorzio. Il regime continua a reprimere i movimenti di mira e a reprimere gli attivisti e i movimenti per i diritti delle donne.

Messi è arrivato in Arabia Saudita venerdì per una tournée della sua squadra, l’Inter Miami FC, che lunedì ha giocato un’amichevole contro la saudita l’Al Hilal, perdendo 4 a 3. Il primo febbraio il Miami giocherà con l’altra grande squadra saudita, l’Al Nassr in cui gioca lo storico rivale Cristiano Ronaldo. Oltre alla competizione calcistica, però, il tour del campione argentino, però, prevede anche attività promozionali per il Regno saudita, nell’ambito di un accordo sottoscritto con il ministero del Turismo saudita.

L’accordo tra Messi e il ministero del Turismo saudita è noto dal 2022, anno in cui Messi ha lasciato il francese Paris Saint-Germain (di proprietà del fondo sovrano del Qatar), e sarebbe stato firmato nel 2021. Secondo documenti svelati dal New York Times il campione argentino avrebbe ricevuto 22,5 milioni di euro in tre anni per fare pubblicità e post sui social, oltre che una serie di vacanze (pagate) con la famiglia in Arabia Saudita. L’accordo è stato svelato (in bozza) a giugno 2023 dal New York Times, poco dopo che il campione aveva comunicato la decisione di rifiutare l’ingaggio proposto proprio dalla squadra Al Hilal (400 milioni a stagione, il doppio di quanto guadagna Cristiano Ronaldo all’Al Nassr), preferendo andare a giocare in Florida per l’Inter Miami. L’accordo, come molti di questo tipo: all’argentino non è permesso dire nulla di negativo sul Paese, niente che possa “macchiarne” l’immagine all’estero. Nello specifico, “La Pulce” avrebbe avuto a disposizione 1,8 milioni di euro per fare una vacanza all’anno di cinque giorni in Arabia Saudita con famiglia e amici (fino a 20 ospiti). I relativi consigli di viaggio sono pubblicati sul sito del ministero del Turismo: “I luoghi preferiti della famiglia Messi in Arabia Saudita”. Allo stessa cifra sarebbero stati concordati 10 post social promozionali di Messi e la partecipazione del campione una volta l’anno a una campagna turistica del Paese.

Proprio martedì, a poche ore dall’uscita dello spot di Messi, Amnesty International ha chiesto pubblicamente che il Regno di bin Salman rispetti le del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. Il report comprene 354 raccomandazioni proposte da 135 Stati membri dell’Onu, che chiedono al Paese riforme per garantire i diritti di libertà di espressione, associazione e riunione pacifica, rispettare i diritti dei lavoratori migranti ed eliminare tutte le forme di discriminazione contro le donne.

“Dalla sua ultima revisione nel 2018 – riporta Amnesty – l’Arabia Saudita non ha attuato molte delle raccomandazioni che aveva sostenuto all’epoca, comprese le raccomandazioni di allineare le sue leggi antiterrorismo e sulla criminalità informatica agli standard internazionali, garantire e proteggere i diritti alla libertà di espressione, associazione e riunione pacifica, rilasciare i difensori dei diritti umani e tutti coloro che sono stati imprigionati per aver esercitato il loro diritto alla libertà di libertà di espressione, di associazione e di riunione pacifica, garantire un giusto processo e processi equi e proteggere i lavoratori da ogni forma di abuso”. Saranno stereotipi, ma sembrano duri a morire.