di Daniela Patti*

Ilaria Salis è detenuta a Budapest in condizioni disumane con l’accusa di aver preso parte all’aggressione di due neonazisti durante una manifestazione dello scorso 11 febbraio. Le ferite riportate dai due manifestanti, che non hanno sporto denuncia, sono state giudicate guaribili in 6 giorni. La procura ungherese chiede 11 anni di carcere. La durezza della pena e ancor di più le sue catene in aula ci sconvolgono, eppure questa storia racconta qualcosa che non appartiene solo all’Ungheria di Orban, da lui stesso definita una democrazia illiberale. I principi democratici, l’antifascismo e la militanza contro l’estrema destra sono valori sempre più contrastati anche in Italia. Per questo la drammatica vicenda di Ilaria Salis deve essere per noi un monito.

Siamo sicuri che la situazione in Italia sia profondamente diversa?
Ho vissuto in Ungheria per lunghi periodi tra il 2013 ed il 2018 e ho visto come l’evoluzione del governo di Orban impatti in maniera sempre maggiore anche nella vita quotidiana degli ungheresi, fino a renderli spesso inconsapevoli di ciò che sta accadendo nel loro Paese. Orban ha smantellato la Costituzione, ha reso la magistratura dipendente dall’esecutivo e ha ridisegnato le circoscrizioni elettorali per favorire il suo partito. Si è assicurato il sussiego di stampa e tv, grazie all’assegnazione di poteri speciali all’Autorità nazionale di controllo sui media e l’informazione e al Consiglio dei media, presieduti da fedelissimi del suo partito, responsabili della supervisione e delle acquisizioni dei media ungheresi.

In Italia il governo Meloni sta proponendo il Premierato: l’elezione diretta del capo del governo, l’abolizione dei senatori a vita e la “norma anti ribaltoni”, per zittire eventuali future voci critiche di maggioranza. Inoltre, il governo Meloni ha presentato la cosiddetta legge Bavaglio, che, contro l’articolo 21 della nostra Costituzione, limita l’attività dei giornalisti e quindi il diritto dei cittadini di essere informati.

Sia in Ungheria sia in Italia si fa un uso a dir poco dissoluto dei finanziamenti europei. Lì vengono spacciati per risorse nazionali recuperate grazie ad operazioni di rebranding del programma Széchenyi, in cui la dicitura del co-finanziamento europeo compare piccolo in un angolo poco visibile dei cartelloni di promozione dei progetti. Qui il Ponte sullo Stretto sarà finanziato grazie a un dirottamento del Fondo per lo sviluppo e la coesione, destinati alla Sicilia e alla Calabria su priorità del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr).

In Ungheria si è assistito allo sradicamento di tutti gli spazi culturali indipendenti, ovvero molte associazioni e organizzazioni non governative sono state tacciate di essere spie segrete di governi stranieri, o di Soros per via dei finanziamenti che ricevevano. Di fatto sono state messi in atto severi controlli dall’Autorità competente e restrizioni per i finanziamenti dall’estero, costringendo tanti di questi spazi a chiudere. Sono nate così molte esperienze che oggi esplorano modalità di autofinanziamento delle proprie attività con l’acquisto degli spazi, com’è il caso di Golya. Infine, ma non per ultima, nel luglio del 2021 in Ungheria è entrata in vigore una legge per cui è reato “promuovere” le differenze sessuali e di genere, un’aggressione sistematica delle voci dissonanti, siano esse di donne, minoranze o omosessuali.

A Roma l’estrema destra fascista non si nasconde, come CasaPound nel quartiere Esquilino che da ormai 20 anni in maniera sempre più evidente, e Fratelli d‘Italia che nel VII Municipio ha votato contro la cancellazione della croce celtica di Acca Larentia. Tutto questo è raccontato molto bene da Tonia Mastrobuoni nel suo saggio L’Erosione, come i sovranismi stanno spazzando via la democrazia in Europa. Il libro si apre con la storia di un mio amico italiano che ha dovuto lasciare l’Ungheria, dove viveva, per via delle aggressioni ricevute in seguito ad una sua satira verso gruppi di estrema destra durante il Gay Pride di Budapest.

La democrazia illiberale di Orban è sfacciatamente evidente, anche nelle manette di Ilaria Salis che abbiamo tutti visto ieri. Mi sorprende quindi che il ministro Lollobrigida non abbia voluto rilasciare dichiarazioni in merito perché non era riuscito a vedere le immagini.

Oggi gli equilibri europei in vista delle elezioni di giugno portano a relazioni molto diverse della Commissione con i governi di Orban e Meloni, non illudiamoci però che questo significhi che il rapporto tra i due si sia incrinato. Da una parte il Parlamento europeo esercita grandi pressioni sul governo ungherese perché non ponga il veto contro il finanziamento agli armamenti in Ucraina, dall’altro Von der Leyen dimostra grande apprezzamento per l’operato della Premier Meloni, non ultimo in occasione della presentazione del Piano Mattei. Infatti, proprio oggi Meloni ha parlato con Orban del caso Salis, “nel pieno rispetto dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura ungherese. Non dimentichiamo che solo poche settimane fa, Fratelli d’Italia e Lega hanno votato contro una risoluzione che stigmatizza le derive autocratiche ungheresi, approvata da una grande maggioranza di eurodeputati, tra cui quelli di Volt. Con il nostro europarlamentare Damian Boeslager da anni chiediamo, contro l’Ungheria, l’attivazione dell’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea che può portare alla sospensione del diritto di voto di un Paese membro.

Volt, partito paneuropeo presente in tutti gli Stati Membri e in Paesi in via di accesso, come l’Albania e l’Ucraina, si impegna per un’Europa democratica, inclusiva e antifascista. Noi non ci arrendiamo all’idea di un’Europa che rinunci allo Stato di diritto per tutelare tutte le Ilaria Salis d’Europa.

* Daniela Patti è co-presidente del partito paneuropeo Volt Europa in Italia. È un’urbanista italo-inglese, ha studiato e lavorato in vari paesi ed è co-fondatrice di Eutropian, organizzazione che si occupa di sviluppo urbano collaborativo in Europa.

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