Cultura

Renato Pozzetto, la struggente biografia in libreria. FQMagazine vi anticipa un capitolo: quando ne ‘La patata bollente’ l’attore girò nudo una scena nella vasca da bagno con la Fenech…

La biografia di Renato Pozzetto – Ne uccide più la gola che la sciarpa (Rizzoli) – che esce in queste ore in libreria, e di cui pubblichiamo un capitolo in esclusiva, deve necessariamente partire dal fondo

di Davide Turrini

Renato, Renato, Renato, così carino così educato. La biografia di Renato PozzettoNe uccide più la gola che la sciarpa (Rizzoli) – che esce in queste ore in libreria, e di cui pubblichiamo un capitolo in esclusiva, deve necessariamente partire dal fondo. Là dove viene pubblicato il trattamento di una sorta di sequel de Il Ragazzo di campagna. Un regalo che Pozzetto, oggi 83enne, rifà ai suoi tanti, tantissimi fan. Immaginatevi il film che non sarà, insomma. Anche perché Renato ne ha interpretati tanti, di film, oltre 70. E addirittura quando esordì nel 1974 con Per amare Ofelia (“una cagata” secondo l’amico Enzo Jannacci) ne girò sei, seguiti da altri sei nel 1975. Così era il cinema di allora. SLa biografia di Renato Pozzetto – Ne uccide più la gola che la sciarpa (Rizzoli) – che esce in queste ore in libreria, e di cui pubblichiamo un capitolo in esclusiva, deve necessariamente partire dal fondostava per girare anche lui Cuore di cane con Lattuada).

Pozzetto tutto automobili e barche, tanta casa (l’amata moglie Brunella con suocera altrettanto amata) e poca chiesa, tanto Derby e surreale comicità non sense. “Bravo, sette più”, ma anche “la vita l’è bela basta avere l’umbrela”. Perché dentro all’intimo memoir non ci trovi i segreti del successo nazionale, ma le radici popolari di un’infanzia povera qualunque. L’Artemio da Gemonio, sul Lago Maggiore. “Quando torno là, trovo le fabbriche al posto dei campi ma io ricordo bene com’era quel paese. Così come ricordo la Milano di allora, con le cascine attorno al centro, i campi irrigati, le marcite, una rete enorme di canali e ruscelli interrotti da piccole chiuse. L’acqua, limpida, pulitissima, proveniente dal Naviglio, un invito permanente a fare il bagno, d’estate. Io lo facevo spesso”. Amarcord, insomma, ma con quel gusto del ricordo sincero e retrò. Zona Sud di Milano, adolescenza tra case popolari, marciapiede, sigarette, motorini rubati. Cochi (Ponzoni) alla chitarra, le festicciole tra compagni di classe (“portavamo allegria”) basta e avanza per capire ascissa e ordinata del Pozzetto ragazzino. Spiritoso Renato e predisposto agli scherzi (ne farà uno quindici anni dopo a Lino Toffolo in camporella memorabile). Vende canne fumarie, indossa il vestito migliore, sega i tacchi dalle scarpe da donna e se le infila, si presenta al Bar Marocco per ascoltare il jazz (“mi pareva insurrezionale”).

Osterie e circoli operai dove esibirsi, infine il cabaret, questo disgraziato. Tra i tavoli a sbellicarsi la famiglia Moratti, ma anche gente della mala, anarchici e poliziotti, pittori di fama mondiale e perfino funzionari Rai che adocchiano il duo Cochi e Renato e lo fanno diventare popolare in tv. Ne uccide più la gola che la sciarpa è un naturale sgorgare di incontri professionali: le incomprensioni con Dino Risi, la maleducazione di Paolo Villaggio, l’egocentrismo di Celentano, lo scazzo con i fratelli Avati, la Carrà che non vuole incontrare Cochi, Renato e Massimo Boldi. Ma c’è spazio anche per l’affetto della memoria: con il Dogui – Guido Nicheli – a raccattare brioches, tacchi, dadi, datteri, il segreto del celebre “taaac!” o le radici di antani e supercazzole (non da ascriversi quindi a Ugo Tognazzi). Il memoir pozzettiano mostra la scala sociale che si muove, l’autorealizzazione che supera la sopravvivenza, la libertà assoluta di far ridere con disimpegno. Sembra una vita da marziano quella di Pozzetto, che poi verso il fondo tralascia un po’ gli anni novanta e duemila e fa scendere la lacrimuccia pensando al vino del suo vitigno Liseiret pronto, il bianco secco, tra due anni, lo spumantizzato tra quattro: “Ecco, mi piacerebbe berne un po’”.

L’ESTRATTO IN ANTEPRIMA ESCLUSIVA:

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Nella vasca di Edwige

A proposito di partner femminili, ho un ricordo divertente che riguarda Edwige Fenech, con la quale ho girato diversi film. Tutto accade sul set de La patata bollente, sempre con Steno regista, anno1979. Con noi recita Massimo Ranieri, cantante notissimo, bravo attore, una persona davvero perbene. Interpreta Claudio, un ragazzo gay vessato e picchiato. Io sono Bernardo Mombelli, detto il “Gandhi”, operaio, leader sindacale, militante del Partito comunista. Salvo da un pestaggio e proteggo il povero Claudio, lo ospito, scoprendo solo in un secondo tempo che si tratta di un omosessuale. Cosa che fa scattare una quantità di scene divertenti, sia in casa, frequentata dalla mia fidanzata Maria, la Fenech appunto, sia in fabbrica, dove lamia reputazione di duro e puro viene messa in discussione.
Il copione prevede che, una volta chiarita la situazione con Maria, torni l’armonia. La coppia di fidanzati decide di fare il bagno insieme e arriva il momento di girare la scena in cui noi due siamo nudi nella vasca. Steno: «Vedremo insieme cosa si può mostrare o meno, poi proverò a risolvere il problema in montaggio, evitando di non superare i limiti della censura».
Edwige e io entriamo nella vasca, veniamo ricoperti da una quantità di schiuma che maschera ciò che non va mostrato. Ci baciamo. Sembra tutto a posto. Invece, il direttore della fotografia blocca la scena spiegando di aver sbagliato a piazzare le luci. Tutto da rifare. Pausa. Così, mentre viene sistemato il set, io e lei rimaniamo nella vasca, vicinissimi .Il tempo passa e io comincio ad avere un po’ di problemi. Cerco di aiutarmi, spero che l’acqua si raffreddi, cerco di immaginare che al mio fianco, invece della Fenech, ci sia Bruno Vespa o magari Cristiano Malgioglio. Tutto inutile.
Guardo la Fenech, dico: «Scusa, io devo uscire un attimo…».
Lei: «No, ascolta, esco io, perché devo rifarmi il trucco».
Esce, statuaria e bella com’è.
Intanto la schiuma svanisce, l’acqua si abbassa e io rimango lì, nudo nella vasca semivuota, col mio coso sull’attenti. Che poi, tutta roba piccola, intendiamoci. Anzi, devo aver capito proprio in quella situazione perché il pisello viene chiamato pisello.
Comunque, nudo, seduto, da solo nella vasca, tutto in vista. Al che, un elettricista che stava sopra di me, a maneggiare dei fari, si sporge e mi grida:
«A Pozzè, guadagnerai qualche lira, ma fai ’na vitaccia!»

(c) Rizzoli

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