L’esplosione della violenza criminale in Ecuador è legata alla crisi economica, all’allargamento della povertà ma anche agli interessi economici che il narcotraffico genera. La “guerra” dichiarata da Noboa guarda in basso, a chi scatena la violenza nelle strade delle città perché cooptato per disperazione dai criminali. Questa è la fotografia che regala a Ilfattoquotidiano.it Leonidas Iza, presidente della Conaie (Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador), assieme al racconto delle resistenze territoriali con cui l’organizzazione ha evitato che i criminali entrassero nelle comunità originarie. Ma per la Conaie il tema principale oggi è la difesa del Parco Nazionale dello Yasunì. Se il presidente Noboa, in campagna elettorale, aveva detto di volerlo difendere, oggi pare mettere in dubbio anche il risultato del referendum popolare che ha decretato la sua protezione. La difesa dello Yasunì è il campo di lavoro della Conaie e di unione tra popoli indigeni ed urbani.
Leonidas Iza, come vede la situazione politica del Paese?
L’Ecuador sta vivendo un momento di crisi politica, economica e sociale, soprattutto stiamo vivendo un momento di grande insicurezza. Una crisi causata dalla criminalità organizzata, dal traffico di droga, dall’attività dei sicari e dalla violenza comune. La situazione in Ecuador si è aggravata ulteriormente a causa degli ultimi tre governi con l’attuazione di politiche neoliberiste, che recepiscono le raccomandazioni del Fondo Monetario Internazionale a differenza di quanto fatto da altri Paesi che, invece, hanno deciso di rifiutarle. La grave situazione che sta vivendo l’Ecuador è figlia della decisione politica ed economica di riduzione delle competenze statali. Una decisione che ha fatto perdere alle istituzione il controllo dei processi economici e così oggi non ci sono risorse per gestire la sicurezza, per l’istruzione, per generare occupazione. I grandi gruppi economici dovrebbero contribuire ad ampliare le casse dello Stato, ma vediamo invece una loro de-responsabilizzazione attraverso condoni e sgravi fiscali. Ciò ha generato la concentrazione di ricchezza in poche mani e devastato l’Ecuador. Per la maggioranza degli ecuadoregni si parla di povertà o povertà assoluta. In questo momento, la situazione in Ecuador, ad esempio, è che 4 milioni di persone non possono nutrirsi tre volte al giorno e vivono con 3 dollari al giorno, molti e molte con meno di 3 dollari al giorno.
Com’è cresciuto il crimine organizzato nel Paese?
È una situazione molto complessa che ha creato un terreno fertile per reclutare giovani disperati e facilmente convertibili a vassalli del narcotraffico o della criminalità organizzata. Credo che la povertà sia la base fondamentale per la cresciuta del crimine organizzato nel Paese. Ma chi dirige la criminalità organizzata non sta tra i poveri che fanno il lavoro sporco. È la politica che ne è permeata anche nelle più alte sfere governative, o della polizia, e dei militari o dei gruppi di potere economico. Lo sviluppo della criminalità organizzata in Ecuador è dovuto al fatto che le economie provenienti dal narcotraffico, e dal riciclaggio di denaro, secondo le Nazioni Unite creano qualcosa come 6 miliardi di dollari. Siamo certi che tutto questo passa attraverso il sistema finanziario nazionale, che siano banche pubbliche o private, cooperative, ma anche attraverso i sistemi industriali, le società immobiliari (che garantiscono il riciclaggio). Quindi il fenomeno della criminalità organizzata è parte delle istituzioni statali, private, dei comandi militari ed è ciò che ha permesso l’aumento del livello di violenza.
Nello specifico guadiamo al governo attuale: che sta facendo?
In questo momento la strategia del governo Noboa è solo ed esclusivamente quella di attaccare i vassalli del narcotraffico che vengono utilizzati dagli stessi criminali per fare il lavoro sporco, per uccidere le persone, per scontrarsi nelle strade, per fare rapine o vendere droga. Credo che il ruolo svolto da Guillermo Lasso, ex presidente della Repubblica, sia stato disastroso e centrale a causa dei legami di alcuni suoi membri con mafie di altri Paesi. Il presidente Noboa ha dichiarato guerra, ma solo, come abbiamo detto, ai settori impoveriti legati al narcotraffico, quelli che fanno il lavoro sporco, che fanno il lavoro di vassalli per i grandi capi. Il governo Noboa protegge i settori più potenti legati al narcotraffico e la “guerra” che sta portando avanti è solo contro i vassalli dei criminali, ovvero i poveri delle periferie della grandi città del Paese.
Questo accade anche nel mondo indigeno?
Esigiamo il rispetto della consultazione popolare dell’anno scorso sul Parco Nazionale Yasuni. Quasi il 60% degli ecuadoregni ha votato per la sua difesa. Quindi non dovremmo vedere progetti di di sfruttamento petrolifero. Deve esserci una transizione ecologica, che va sostenuta anche economicamente. Dobbiamo proteggere il territorio, salvare l’acqua e combattere attività inquinanti come quella dell’estrazione del petrolio. Tuttavia, il governo nazionale intende ora porre una moratoria al voto popolare per l’assenza di una figura giuridica che tuteli il parco, figura giuridica che non esiste né nella Costituzione né per legge. Per questo motivo il movimento indigeno si incarica di difendere il voto della consultazione popolare. Abbiamo detto con forza che i territori dei popoli indigeni non si possono occupare e non possono essere la fonte della ricchezza dello “sviluppismo”, processi che trasformano i nostri territori in discariche di rifiuti e lasciano in “eredità” l’inquinamento delle acque, della terra, della selva, il tutto per lo “sviluppo” ed il guadagno di pochi. Abbiamo deciso per il rafforzamento delle “guardie comunitarie” e così più di 10.000 comunità non hanno permesso l’ingresso del crimine organizzato limitando totalmente il narcotraffico nei nostri territori. Questo perché abbiamo la capacità di auto-organizzarci e di autodeterminazione dei nostri percorsi. Abbiamo imparato a gestire il governo comunitario e siamo riusciti a garantire giustizia. Così non appena vediamo l’insorgere di pericoli o di personaggi legati al mondo criminale garantiamo la sicurezza delle nostre comunità con le “guardie comunitarie”. Nessuno come noi ama i villaggi, le comunità e le diverse culture originarie che compongono l’Ecuador. Il controllo di 10.000 comunità ha fatto risparmiare allo Stato ecuadoriano milioni di dollari e allo stesso tempo quello Stato spende risorse pagando pubblici ministeri e giudici che perseguitano i leader indigeni che difendono diritti collettivi. Ma siamo in relazione, al netto delle differenze cultura, sociali ed epistemologiche, con tutte le popolazioni dell’Ecuador. E così lavoriamo fianco a fianco per far crescere, anche laddove non c’è, la capacità di organizzazione di base, stiamo condividendo le nostre esperienze anche nelle città e nei quartieri urbani.