Alessandro, 26 anni, è un agricoltore di Gaggiano, nell’hinterland milanese. La sua famiglia coltiva la terra da quattro generazioni, ma lui non vuole essere l’ultimo. “I costi di produzione sono diventati insostenibili per noi e i costi di vendita dei cereali sono troppo bassi – racconta al Fatto.it – così si favoriscono i grandi produttori e non i piccoli, se va avanti così dovrò smettere”. Per questo si è unito alla protesta dei trattori che da lunedì ha trovato la sua base milanese nelle aree vicino al casello di Melegnano. Giorno e notte.
Giovedì pomeriggio una decina di trattori si sono messi in marcia per raggiungere il centro di Milano. Alla guida dei trattori c’è l’ultima generazione di agricoltori, poco più che ventenni. Ragazzi come Samuele, 22 anni, alle spalle una famiglia da cinque generazioni nel settore agricolo e nessuna intenzione di smettere: “Quando sarà giunta la mia fine lo deciderò io e non loro – spiega al Fatto.it – abbiamo l’appoggio delle persone ma non quello dall’alto e per questo siamo scesi in piazza”. In effetti i trattori sono entrati a Milano creando code, ma ricevendo numerosi applausi dai passanti per strada. Ma quello che manca per ora è la risposta della politica. “Servono fatti, non parole” racconta Alessandro che alle ultime elezioni non è andato a votare perché non si sentiva rappresentato né dalla politica né dalle associazioni di categoria.
Così gli agricoltori hanno deciso di scendere in piazza in tutta Italia. “Perché non riusciamo più a produrre in Italia? Ci sono nazioni dove si produce con fitofarmaci che rendono il 30 per cento in più – conclude Alberto Oldani, produttore di riso di Magenta – noi non possiamo competere con queste nazioni che utilizzano prodotti da noi vietati. Noi non li vogliamo utilizzare, ma allora o loro diventano come noi oppure il nostro prodotto deve subire un aumento del prezzo”.