Dalla Lituania alla Repubblica Democratica del Congo, dalla Malesia alla Mongolia. In totale tredici nazioni diverse allenate. Classe 1967, Marco Ragini è l’esempio di un calcio senza confini. Nato a San Marino, ha girato il mondo in lungo e in largo e ora sta costruendo un piccolo miracolo sportivo con il Tagikistan, di cui è direttore tecnico per tutte le selezioni. I tagiki sono approdati ai quarti di finale di Coppa d’Asia alla loro prima partecipazione in assoluto, e adesso affronteranno l’altra sorpresa del torneo, la Giordania.

“È una grande soddisfazione – dichiara Ragini a ilfattoquotidiano.it – Da quando sono arrivato in Tagikistan, circa otto mesi fa, mi hanno dato la responsabilità di gestire a livello tecnico tutte le nazionali. Magari sono stato anche fortunato, ma tutti i settori su cui ho lavorato sono andati molto bene: l’Under 17 è diventata campione del Centro-Asia, l’Under 23 si è qualificata per la prima volta alla fase finale per le Olimpiadi di Parigi. Due risultati molto importanti per una nazione piccola come questa”. I quarti di finale nel torneo asiatico sono arrivati dopo il successo ai calci di rigore contro gli Emirati Arabi Uniti e grazie al secondo posto nel girone, dietro al Qatar ma davanti alla Cina: “Siamo a un punto abbastanza particolare, perché inaspettatamente giocheremo contro la Giordania. Vediamo cosa succederà ma la semifinale ce la giocheremo”. E pensare che il Tagikistan inizialmente “non era nella mia testa come scelta. Poi è arrivata questa proposta e l’ho accettata subito, avevo voglia di lavorare per qualcuno che avesse piacere a ricevere il mio contributo internazionale. Per la prima volta lavoro come direttore tecnico”.

Ex repubblica sovietica, il Tagikistan ha circa 8 milioni di abitanti. È una delle economie più fragili del mondo ma sta crescendo molto con il calcio: “È un paese – continua – che si è rialzato dalle ceneri, visto che ha subito due grossi traumi in passato. Il primo è stata la dissoluzione dell’Unione Sovietica, il secondo la guerra civile (tra il 1992 e il 1997 ndr) che ha fermato il tempo e tutta la società. Ora sono sulla buona strada, la capitale Dusanbe è un cantiere a cielo aperto”.

L’esperienza della guerra civile Ragini l’ha vissuta anche sulla propria pelle, nella Repubblica Democratica del Congo, dopo le sue tappe in Grecia, Slovacchia, Olanda, Repubblica Ceca, Lituania e Svizzera. È il 2016 quando si trasferisce a Kinshasa per allenare l’Ujana. “L’esperienza – racconta Ragini – era cominciata nel migliore dei modi, allenavo una delle squadre più forti del campionato. Era la squadra del Capo dello Stato e aveva la scuola calcio più grande d’Africa, con quasi 6mila ragazzi. Il presidente in quel momento però era contestato e la squadra non era vista bene dal popolo. Quando sono arrivato c’era già un pò di fermento ma niente di grave, poi dopo quattro mesi è esplosa questa guerra e io mi sono trovato nel mezzo. Persone civili con machete, polizia che sparava ad altezza d’uomo. È stata una cosa agghiacciante, e con mia moglie (responsabile sanitaria della squadra) siamo rimasti rinchiusi in un rifugio a Kinshasa per circa dieci giorni. La paura è stata tantissima”. In Congo non si può più stare, e così nel 2017 arriva una nuova tappa, sempre in Africa, questa volta in Nigeria, al Garden City Panthers. “Anche lì non è stato facile, c’erano altre problematiche. Fortissimi giocatori, soprattutto dal punto di vista atletico”.

Nuova stagione, nuovo continente. Il 2018 è l’anno del trasferimento in Asia. La chiamata giusta è arrivata dalla Mongolia, la società è l’Ulanbaatar. “Ricordo che il primo allenamento è stato a -26 gradi. Avevo addosso tre calzamaglie, due passamontagna e i guanti, mentre i ragazzi che allenavo si cambiavano tranquillamente la maglietta fuori, sudati, magari con la testa bagnata. Per loro era tutto normale. Io invece ero ghiacciato. In più si giocava a circa 1700 metri di altezza, l’umidità non esisteva e l’aria che respiravi ti asciugava tutto. Non dico che fosse irrespirabile, ma a un certo punto girava la testa”. Un anno pieno di grandi soddisfazioni: “È stato molto bello, la cultura dell’est asiatico porta molto rispetto alla figura professionale e ai più anziani. Abbiamo raggiunto uno storico secondo posto in campionato e cinque miei giocatori sconosciuti sono arrivati in Nazionale. La Mongolia poi è un paese bellissimo”.

Il ritorno in Europa coincide con le panchine al Lusitano in Portogallo e al Tre Fiori a San Marino, poi nuova chiamata dall’Asia nel 2021, questa volta però Ragini vola in Malesia, al Kelantan: “Il campionato è molto interessante. La mia squadra era quella storica del paese e siamo arrivati quarti con la rosa più giovane. Il presidente però era un padre-padrone e lavorarci insieme è stato molto complicato. Per esempio, una volta mi ha chiamato alle tre del mattino perché durante l’ultima partita un mio giocatore non aveva battuto regolarmente un fallo laterale”. In Malesia però “c’è una passione incredibile, gli stadi erano sempre pieni. Là il calcio è una religione. Durante il Ramadan facevo allenamenti alle due del mattino. Era l’unica soluzione perché la temperatura raggiunge anche i 38 gradi con tantissima umidità”. Ma dove prendono origine tutte queste scelte? “Per conoscere e imparare. Dopo essere stato tanti anni in Italia volevo vedere qualcosa di diverso”. E un ritorno in Italia in futuro? “Ci sono state diverse proposte dalla Lega Pro, ma mi chiedevano anche se avessi con me uno sponsor per pagare il mio lavoro e il mio staff. Questa è una cosa che non ho accettato”.

Ora il futuro è tutto da scrivere: “Prima di questa Coppa d’Asia ero sicuro per un posto diverso, ma ora le cose sono cambiate con questi quarti di finale, e quindi vedremo. So di avere una certezza all’interno della Federazione, mi sento bene e molto apprezzato. Mi manca però il campo”. Un ritorno in panchina che, se si verificasse, potrebbe portare Ragini in direzione di un derby italiano in Asia. A marzo infatti ci sarà un doppio confronto per le qualificazioni mondiali contro l’Arabia Saudita di Roberto Mancini: “Sarebbe molto bello – conclude Ragini – affrontarlo da allenatore del Tagikistan, però questo è un capitolo che si vedrà. Il nostro girone per il Mondiale è complicato ma è tutto aperto”.

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