È bastata la voce messa in giro da alcuni canali Telegram anonimi riconducibili a membri minori dell’amministrazione presidenziale e da un deputato dell’opposizione ucraina per riaccendere il tam-tam mediatico sullo scontro tra il presidente Volodymyr Zelensky e il capo delle forze armate Valery Zaluzhny. Che i fatti siano veri o non lo siano, quello che tutti sanno a Kiev è che lo scontro sta avvenendo e prima o poi avrà un epilogo. Che cosa si dice sia successo? Nel pomeriggio di lunedì 29 gennaio, Zaluzhny è stato informato che il presidente voleva vederlo per discutere la situazione al fronte con il comandante in capo. E fin qui niente di strano: i leader politici e militari si incontrano regolarmente ogni settimana e a volte anche più spesso. A Kiev per queste riunioni da qualche tempo il presidente richiede la presenza – per lui rassicurante – del capo dell’ufficio della presidenza, Andriy Yermak, il quale però quel giorno era a quasi 800 chilometri di distanza, a Uzhhorod, per colloqui con il capo del Ministero degli Esteri ungherese, Peter Siyarto. Secondo la BBC, all’incontro hanno preso parte tre persone: Zelensky, Zaluzhnyi e il ministro della Difesa Rustem Umerov. Dai convenevoli si sarebbe passati poi all’argomento vero della riunione: il leader politico ucraino ha annunciato di aver deciso di licenziare il comandante in capo delle forze armate e che il decreto in merito sarebbe stato firmato nel prossimo futuro.
Decisione presa e immediata o minaccia a un collaboratore di cui non si condivide più la condotta? Non è dato saperlo. Fatto sta che nelle ore successive il web e le agenzie stampa impazziscono, costringendo il Ministero della Difesa a una replica piccata: “Cari giornalisti, rispondiamo immediatamente a tutti: no, questo non è vero”. L’addetto stampa di Zelensky ha invece dichiarato che “il presidente sicuramente non ha licenziato il comandante in capo”. Nessuno ha fatto il nome di Zaluzhny, nemmeno Zelensky nel suo discorso serale via Internet. I partigiani dell’ex attore e del generale sostengono che si sia trattata di una sciarada dell’altra parte.
Le voci che si sono rincorse nelle ore successive hanno parlato del rifiuto di Kyrylo Budanov, capo dell’intelligence militare, e di Oleksandr Syrskyi, a capo della difesa di Kiev all’inizio della guerra e responsabile del fronte orientale dalla controffensiva dell’autunno 2022 fino ai nostri giorni, di prestarsi a sostituire Zaluzhny qualora venisse licenziato. C’è davvero da dare credito all’idea che il presidente ucraino intendesse seriamente rimpiazzare un generale ritenuto troppo ingombrante e gradito all’opinione pubblica con uno di questi due, potenzialmente più ingombranti e visibili di un comandante in capo, Zaluzhny, le cui interviste si contano sulle dita di una mano?
E poi, chi può pensare seriamente che Budanov e Syrskyi la pensino diversamente dallo stesso Zaluzhny in quegli ambiti che per Zelensky contano davvero, cioè la gestione della mobilitazione e delle manovre offensive? Era stato il comandante del fronte orientale a dire che “i nostri obiettivi rimangono invariati: mantenere le nostre posizioni estenuando il nemico infliggendogli il massimo delle perdite”, agendo “attraverso un’attenta pianificazione delle operazioni di combattimento”, che “il valore più grande per noi è la vita dei nostri soldati” e che in definitiva ridurre al minimo le perdite “è sempre una priorità quando si pianificano le operazioni”. Tutte opinioni sulle quali Zaluzhny metterebbe la firma. Devono aver fischiato le orecchie a Zelensky a leggere, poi, che per lo stesso Syrskyi vale ancora “il principio di Epaminonda che dice di concentrare le proprie forze nel punto più importante nel momento migliore. Questo principio non ha perso la sua rilevanza” dopo che nel corso del 2023 il presidente aveva distratto forze preziose dal fronte meridionale per ingaggiare i russi sul fianco orientale del Dnipro e a Bakhmut impegnando così migliaia di soldati.
D’altra parte Budanov, capo del GUR, ha sostenuto con forza che “nessun reclutamento potrà coprire i nostri bisogni senza la mobilitazione. Questo è un problema simile a quello delle munizioni perché le quantità sono enormi. La forza totale dell’esercito ucraino ammonta a 1,1 milioni di persone. Nessun reclutamento può coprire tali volumi, solo la mobilitazione”, ha osservato il capo della direzione principale dell’intelligence. Di nuovo, ha fatto eco a quello che Zaluzhny ha sostenuto a più riprese.
Il fatto che Budanov e Syrskyi siano, in definitiva, fotocopie di Zaluzhny ci porta a quello che è il punto cruciale della crisi tra Zelensky e il suo generale: il leader non ha trovato uno solo tra i vertici militari dell’Ucraina che negasse l’urgenza di arruolare 400-500 mila nuovi soldati, una cifra che tiene conto delle perdite e del fatto che molte truppe hanno combattuto per quasi due anni senza riposo. In tutte le dichiarazioni e gli incontri, il presidente ha risposto ai suoi sottoposti in divisa che ha bisogno di sentire “più argomenti” a sostegno delle loro richieste, dal momento che il Paese nemmeno dispone di abbastanza uniformi e armi per così tante nuove reclute. Come dargli torto, in quanto uomo politico? Non può nascondere di essere fortemente preoccupato nel prendere una decisione impopolare rischiando, quando i suoi sondaggi sono già in calo, di finire linciato dall’odio popolare per i danni alle economie e alle famiglie, mentre – a suo modo di vedere – i generali si fanno belli e si preparano a carriere politiche di successo. Insomma, Zelensky attacca Zaluzhny per avvertire tutti i leader delle forze armate che chi comanda è lui e loro possono solo adeguarsi.
Dall’altra parte, proprio la crisi di questi giorni ha dimostrato che i soldati, quelli già operativi e che combattono tra il fango e i topi, potrebbero subire un tragico calo di morale se privati della certezza di una guida sicura che nel 2023 non li ha mandati al massacro come Zaluzhny, appunto, sacrificandoli sull’altare di una futura carriera politica. Se il presidente, incontrando il comandante in capo delle forze armate e minacciando di licenziarlo, ha inteso richiamarlo all’ordine e imporgli il silenzio sulla questione della mobilitazione, allora i canali Telegram delle gole profonde dell’amministrazione presidenziale hanno avuto successo nell’evidenziare che non si tratterebbe di sostituire un uomo, ma di indicare un cambio di direzione che non piacerebbe per niente ai combattenti.
Sullo sfondo rimangono le questioni dell’impreparazione delle difese ucraine e del modesto successo della controffensiva del 2023, con il presidente che vorrebbe scaricare le colpe sui militari e questi ultimi sicuri che il politico ha prima ignorato gli avvertimenti degli alleati e poi ha venduto ai media la controffensiva come di sicuro vincente per farsi bello davanti agli elettori. I sondaggi, intanto, danno la popolarità dell’ex comico tra il 32% e il 52%, mentre i militari e lo stesso Zaluzhny veleggiano oltre l’80%.