di Francesca Scoleri

Bob Dylan diceva che essere giovani vuol dire “tenere aperto l’oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro”. Un’immagine bellissima che apre fedelmente alla fiducia nel domani. Eppure in Italia queste parole perdono di significato e, con esso, anche la speranza sembra sparire nella fitta nebbia dell’ingiustizia sociale.

Osserviamo la vita di due ragazze; Valeria che vive a Torino, e Lorena, figlia di italiani trasferiti a Nizza. Valeria ha 30 anni e ha conosciuto – con ogni probabilità anche disprezzato – il mercato del lavoro riservato ai giovani. Da un contratto di apprendistato all’altro senza una logica di reale interesse – da parte delle aziende – alle capacità acquisite in ciascun posto. Non dovrebbe forse essere questo lo scopo dell’apprendistato, quello di formare un lavoratore alle giuste competenze? In Italia no. In Italia la logica adottata dalle aziende – grandi o piccole – è avvalersi di tutti gli alibi che il governo di turno mette a disposizione per operare sfruttamento in modo legittimo.

Ed è cosi che Valeria si trova ad essere apprendista in una grande catena di supermercati; un anno di lavoro a 600 euro al mese per 40 ore settimanali. E’ faticoso e poco gratificante, ma c’è la speranza di essere assunta in maniera definitiva e Valeria va avanti. Sogna una sicurezza economica e ripete a se stessa “un anno passa in fretta. Devo solo tenere duro”. L’anno passa, ma le notizie che la attendono nell’ufficio del capo del personale non sono quelle sperate. Non ci sono altri contratti per lei. Dopo qualche giorno, una nuova apprendista prende il suo posto con nuovi sogni destinati ad infrangersi come i suoi. Altra avventura dentro un grande magazzino di elettrodomestici; altre speranze prendono vita seppur con prudenza. Un altro anno di sacrifici, di fatiche economiche fino alla comunicazione “non possiamo più rinnovarti il contratto”. Dopo qualche giorno, una nuova malcapitata la sostituisce. Difficile da questa posizione “tener aperto l’oblò della speranza”.

La delusione spinge Valeria a tornare sui banchi di scuola per seguire ciò che davvero le piace, stare con i bambini. Cerca una formazione di educatrice all’infanzia; la regione ne offre qualcuna ma le ore sono tante; come conciliare il desiderio di studiare con l’esigenza di mettere insieme qualche soldo? Si vede costretta a scegliere un corso privato, quasi mille euro. Si avventura successivamente in mesi di tirocinio dentro una scuola, senza retribuzione, senza rimborsi spese, senza buoni pranzo, ripetendo a se stessa “questa è la via giusta. Forse”.

Passiamo il confine. Lorena ha 21 anni. Sogna di iscriversi all’università ma non è ancora pronta. Vuole prendersi del tempo, mettere via un po’ di soldi e poi dedicarsi solo allo studio. La Mission Locale, l’ente francese che accompagna i giovani dai 18 ai 25 anni nell’inserimento lavorativo, la indirizza al Service Civique; Lorena è formata a mirati metodi di animazione e ai protocolli adottati nelle scuole per bimbi con difficoltà. La retribuzione è 720 auro al mese per 3 giorni di lavoro a settimana e un pomeriggio di riunione nella sede dell’associazione che gestisce l’incarico per conto della regione.

Dopo il servizio civico, viene selezionata per una formazione che risponde a ricerche di mercato; la zona in cui vive ha un vivace turismo e la domanda di addette alla reception è cresciuta. Intraprende così una formazione che le permette, fra le altre cose, di approfondire francese e inglese. Il periodo di studio si alterna a periodi di stage nelle strutture alberghiere. Compenso: 520 euro al mese.

Il confronto fra queste due realtà è avvilente. La possibilità di scegliere è un bene prezioso che in Italia, ai più, è stato sottratto a favore delle classi più forti. La donna, madre e cristiana che governa il Paese potrebbe cominciare ad occuparsene o ritiene più importante avallare lo sfruttamento e i sogni rubati ai nostri giovani?

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