A una settimana dalla decisione della Corte Internazionale di Giustizia (CIG) de L’Aja, che ha accolto la denuncia del Sudafrica, dichiarato “plausibile” che a Gaza sia in corso un genocidio e ordinato a Israele di mettere in atto “misure cautelari” per impedire che si concretizzi, la discussione sul valore del pronunciamento del tribunale Onu è ancora aperta. Perché la fotografia di ciò che accade sul campo è impietosa e sembra stagliarsi lì a dirci che le decisioni del massimo organo giudiziario dell’Onu sono, quanto meno, impotenti.

Israele, infatti, non ha fermato né frenato il massacro in corso a Gaza. All’ordine della CIG di fornire assistenza umanitaria ai palestinesi a Gaza ha risposto mettendo in stato di accusa l’intera Unrwa, immediatamente seguita da numerosi Paesi occidentali – compresa l’Italia – che hanno deciso, sulla base delle sole accuse di Tel Aviv di sospendere i fondi all’Agenzia Onu che si occupa di garantire un minimo di assistenza umanitaria ai palestinesi.

All’ordine di perseguire e punire i soggetti colpevoli di incitare al genocidio, ha risposto con la partecipazione di ben 12 ministri e un numero ancor più folto di parlamentari, a una conferenza in cui si parlava esplicitamente di ri-colonizzazione di Gaza. Alla preoccupazione della Corte per il sangue che continua a scorrere a Gaza, ha risposto versando quello di altre centinaia di palestinesi, senza sosta. Viene dunque da chiedersi: è allora quello della CIG un pronunciamento del tutto inutile? Buono, forse, a salvare l’anima e l’apparenza del diritto internazionale, ma inservibile all’ora di produrre cambiamenti concreti?

La verità è che sbagliava chi riteneva che un’eventuale condanna di Israele potesse cambiare repentinamente i destini del popolo palestinese. Ma altrettanto sbaglia chi sottostima l’importanza della sentenza. La sua portata, però, è di natura essenzialmente politica. E le potenzialità di dispiegare effetti concreti sta nella capacità di forze materiali, a livello internazionale, di impugnarla e farne strumento di battaglia.

Per la prima volta il termine “genocidio” è associato a Israele – Quello che non si nomina, non esiste. Il Sudafrica ha avuto il coraggio di chiedere l’incriminazione di Israele non solo per crimini di guerra, ma per genocidio. La stessa richiesta fatta da 80 parlamentari europei e latinoamericani (prima firmataria l’ex ministra e segretaria di Podemos, la spagnola Ione Belarra) alla Corte Penale Internazionale, ma in quel caso contro singoli individui, a partire da Netanyahu. Poteva morire lì, e sarebbe stata una richiesta che in molti avrebbero considerato azzardata. Invece no, perché la CIG ha stabilito che l’accusa di Pretoria è fondata e che sì, è legittima l’associazione del termine “genocidio” a Israele. Se guardiamo alle reazioni scomposte dei ministri israeliani, a partire da Ben Gvir e Gallant, che hanno accusato il tribunale dell’Onu di antisemitismo, ci rendiamo conto della portata storica di un simile pronunciamento.

Parlare di genocidio israeliano a Gaza non è più tabù. Israele subisce una sconfitta pesantissima sul piano della “guerra del racconto”, quella dimensione mediatico-narrativa, sempre più centrale nelle guerre del XXI secolo;

L’occidente culla della civiltà e del diritto alla sbarra per inciviltà e violazione del diritto internazionale – È la prima volta che un alleato degli Usa e del blocco occidentale viene accusato di genocidio. Paradossale, a pensarci bene. Perché per decenni abbiamo ascoltato capi di governo e di stato occidentali (di destra, centro e sinistra) inventare formule (“guerra umanitaria” su tutte) pur di spiegare al resto del mondo che l’Occidente era costretto a intervenire per salvare vite, salvaguardare la democrazia, difendere i diritti umani. Oggi scopriamo per bocca del più alto organo giudiziario dell’Onu che ad ammazzare, a calpestare i diritti umani è la “più grande democrazia del Medio Oriente”, un avamposto dell’Occidente e della sua cultura. La “culla della civiltà e del diritto” alla sbarra per inciviltà e violazione delle più basilari norme del diritto internazionale.

È una sconfitta anche degli alleati di Israele, Usa e Ue in primis – La decisione della ICJ segna una sconfitta non solo per Israele, ma anche per i suoi alleati. Per il governo tedesco, che il 12 gennaio dichiarava di “respingere fermamente ed esplicitamente l’accusa di genocidio che è stata ora mossa contro Israele”. E soprattutto per gli Usa. Il 10 gennaio l’amministrazione di Washington aveva pubblicato un comunicato in cui si poteva leggere: “le accuse secondo cui Israele sta commettendo un genocidio sono infondate”. La Corte ha deliberato l’opposto. Questa decisione aumenterà il costo politico del sostegno a Tel Aviv. Anche di quello militare. Perché oggi inviare 14,5 miliardi di dollari in armi – come Washington ha fatto nel novembre 2023 – significherebbe essere complici di un “plausibile genocidio”. Un reato, punibile secondo l’articolo XIII della Convenzione sul genocidio;

Una sentenza anche e soprattutto contro i complici di Israele – Perché è proprio qui il senso più profondo della decisione della CIG. Tel Aviv, infatti, aveva reso chiaro fin da prima dell’avvio del processo, che avrebbe sostanzialmente ignorato una possibile condanna. E la Corte non ha gli strumenti e la forza per esigere il rispetto delle decisioni prese, che formalmente obbligano i Paesi soccombenti, come Israele in questo caso, a ubbidire. Se non può farlo la CIG, c’è bisogno che lo faccia qualcun altro. Questo soggetto sono gli Stati firmatari della Convenzione sul Genocidio. Per questo la sentenza va impugnata anche nei loro riguardi. Perché il tribunale de L’Aia li obbliga a verificare l’osservanza delle “misure cautelari” indirizzate a Tel Aviv. Pena la complicità col “plausibile genocidio” in corso a Gaza.

I rapporti di forza – Davide che batte Golia, scrive qualcuno. Il Sudafrica certo è meno forte di Israele. Ma se si è arrivati alla sentenza è anche per il fatto che in questi mesi in tutto il mondo si è data una mobilitazione che ha coinvolto milioni e milioni di persone. Per il fatto che da Gaza giornalisti e fotografi hanno testimoniato quotidianamente il massacro di cui era vittima un intero popolo. Documentando live, minuto per minuto, quello che la CIG oggi ci conferma essere un “plausibile genocidio”.

Ed è proprio questo il soggetto che può trasformare il pronunciamento di un tribunale in forza materiale capace di cambiare gli equilibri in campo.

Abbiamo la possibilità di agitare la sentenza e portarla dinanzi ai centri di potere dei nostri Paesi per esigere che si rompa qualsiasi complicità con uno Stato che sta perpetrando un “plausibile genocidio”. Questo è il compito del presente per l’unico attore che può imporre il cessate il fuoco. Per raggiungere l’obiettivo bisogna far venir meno la “luce verde” che i governi occidentali hanno finora concesso a Israele. È qui che si può rompere la catena di morte e distruzione all’opera in Palestina.

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