Da inizio anno, ogni giorno una scossa. Non è iniziato bene il 2024 dell’industria dell’auto elettrica tra obiettivi mancati, revisioni al ribasso delle stime, quotazioni saltate e annunci di tagli. Il che spiega anche il crescente vigore con cui i produttori cercano di estorcere incentivi ed agevolazione ai governi. L’umore è spento, nervoso, come si vede anche dall’andamento dei titoli in Borsa. Nel primo mese di contrattazioni Tesla ha perso il 21%, la cinese Byd il 15% (il gruppo incorpora anche una divisione di elettronica), la vietnamita Vinfast il 14%, ma con crollo dell’83% rispetto ai valori solo dello scorso agosto. La cinese Nio ha lasciato sul terreno il 29%, la svedese Polestar il 22%. Vista la malaparata, non sorprende che Renault abbia deciso di stoppare sine die la quotazione di Ampere, divisione focalizzata sull’elettrico. Volkswagen ha riposto nel cassetto il progetto di quotazione di Powerco, l’unità che produce batterie. Tutte le Ipo (le quotazioni iniziali) di produttori di elettriche sono al momento in perdita. Il colpo di grazia al progetto di quotazione l’ha forse dato la diffusione dei deludenti dati di Tesla. E peggiori delle attese sono anche le cifre illustrate dalla rivale cinese Byd che pure parlano di un utile in aumento ma con una crescita molto più asfittica che in passato.

Del resto basta guardare a come stanno andando le vendite nei principali mercati. Un anno fa, di questi tempi, le immatricolazioni di auto elettriche salivano negli Stati Uniti a ritmi del 50-60%, ora non sia arriva al 40%. In Germania, lo scorso dicembre, le vendite si sono addirittura dimezzate rispetto all’anno prima e per l’intero 2024 ci si attende una flessione del 14% con 451mila immatricolazioni. E a frenare è anche il mercato cinese, il più grande al mondo. Le stime globali sono state abbassate, quest’anno le vendite dovrebbero salire del 27%. Insomma si cresce ancora, ma molto più lentamente di quanto si fosse immaginato negli esuberanti mesi a cavallo tra 2022 e il 2023 quando sembrava che l’elettrico fosse ormai diretto in orbita, spinto da una pioggia di sussidi governativi.

Cosa è cambiato? Innanzitutto è stato dato un po’ troppo per scontato che ormai fosse tutto pronto per il “grande balzo” dal motore endotermico all’elettrico, cosa che in realtà, come vedremo, non è. Inoltre le politiche di incentivazione si sono fatte un poco più più restrittive, mentre i tassi sono saliti e quindi il costo del finanziamento per comprare una vettura, con prezzi che rimangono più alti rispetto a quelli delle vetture tradizionali. La rete di punti di ricarica non è ancora così capillare da placare i dubbi dei clienti sulla sostanziale intercambiabilità pratica di una macchina tradizionale e una a batteria. In questo quadro, le case cinesi, sussidiate massicciamente da stato e amministrazioni locali, sfornano vetture in abbondanza rispetto alla domanda, provocando pressioni crescenti sui mercati e imponendo sforbiciate ai listini. Secondo stime di Cox Automotive , le scorte di magazzino dei concessionari di vetture elettriche sono più che raddoppiate nell’ultimo anno, raggiungendo il livello record di 114 giorni di forniture rispetto ai 71 giorni dei rivenditori di auto tradizionali. Ecco perché diversi produttori hanno ora deciso di alzare il piede dall’acceleratore degli investimenti e di dilatare i tempi dei loro piani industriali. Tanta concorrenza, in un settore ad alta tecnologia ed elevato capitale fisso e in un attimo è sovraproduzione.

I prezzi sono sì sotto pressione e scendono ma rimangono alti. Listini più accessibili si scontrano con le ricadute dell’aumento dei tassi di interesse. Come accade per i mutui casa, anche i prestiti per l’acquisto di un’auto (o di qualunque altra cosa) diventano più onerosi. Come se non bastasse il mercato si apre ora a clienti più esigenti. Appagata la limitata domanda di una clientela senza grandi limitazioni di potere d’acquisto e non molto preoccupata per i problemi legati alle infrastrutture di ricarica (magari avendo anche un’altra auto nel box), ora i consumatori sono più attenti a considerare tempi di ricarica, durata ed affidabilità delle batterie. Spesso, ancora, si preferisce l’ibrido che infatti cresce. Ibride, ibride e ancora ibride chiedono i concessionari ai produttori. Segnale importante perché denota come il consumatore tipo non si senta ancora pronto ad abbandonare i distributori affidandosi alle sole colonnine elettriche. È emerso un altro elemento a frenare gli acquisti. Le vetture elettriche si svalutano più rapidamente di quelle a benzina o gasolio, ciò dipende principalmente dalle incertezze sulla durata residua delle batterie. Per i grandi marchi del noleggio auto come Avis, Hertz o Sixt questo è un bel problema: il modello di business prevede di solito di mantenere nuovi veicoli nella flotta per sei mesi e poi rivenderli. Non solo, i noleggiatori hanno anche riscontrato una domanda inferiore alle attese (qui probabilmente incide il solito timore di non trovare facilmente punti di ricarica) e alti costi di manutenzione. Così hanno deciso di ridurre la loro dotazione di elettriche nelle loro flotte.

Riassumendo la posizione di un produttore: domanda in frenata e prezzi sotto pressione. L’unica speranza per non accettare di guadagnare di meno (o per non incamerare perdite) è quella di ridurre i costi o di ottenere più sussidi. Il numero uno di Stellantis Carlos Tavares è stato piuttosto brusco, ma chiaro, qualche giorno fa: “La struttura dei costi di un veicolo è fatta per l’85% di componenti che compriamo dai fornitori, quindi i fornitori dovranno ridurre i costi del 40% per consentirci di rendere le auto elettriche disponibili a tutti abbassando i prezzi. È una brutale realtà che sto cercando di spiegare al mondo da sei anni Lo ripeto ancora: dobbiamo ridurre del 40% il costo dei componenti”. Dal canto suo Elon Musk si è detto convinto che, a parità di prezzo, un consumatore ormai sceglierebbe quasi sempre una vettura elettrica. Forse un po’ troppo ottimista ma di sicuro c’è del vero.

Tavares ha parlato anche della concorrenza cinese. “L’Europa ha deciso di lasciare il mercato aperto ai cinesi, dobbiamo affrontare anche la concorrenza cinese che ha un vantaggio del 30% rispetto ai veicoli occidentali. Quindi dobbiamo ridurre ancora i nostri costi“, ha affermato. Non è detto però che la situazione resti questa. Gli stati affilano le armi per proteggere i loro produttori. Gli Stati Uniti attraverso generosi sussidi (fino a 7,500 dollari) concessi a chi costruisce all’interno dei suoi confini. La Cina estende per altri 4 anni l’agevolazione per l’acquisto. Nel 2024 e nel 2025 varrà il 10% del prezzo della vettura fino ad uno sconto massimo di 4.200 dollari. Nel 2026 e 2027 l’incentivo sarà dimezzato. L’Unione europea ha però avviato un’indagine sul potenziale “sovvenzionamento illegale” dei veicoli elettrici che potrebbe causare “danni economici” ai propri produttori. Il colosso cinese Byd, primo produttore al mondo, è già corso ai ripari: costruirà una fabbrica in Ungheria che consentirà in ogni caso di schivare le barriere doganali.

Guardiamo infine anche la parte mezza piena del bicchiere. Secondo molti osservatori quella a cui assistiamo è solo una battuta d’arresto in un percorso che è ormai inarrestabile. I prezzi stanno comunque scendendo e la gamma di modelli aumenti. La lentezza nello sviluppo delle infrastrutture di ricariche verrà superata e non pare ostacolo insormontabile. Nessuno pensa insomma di staccare la spina, ma serve scalare di marcia.

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