È andata in fondo come da pronostico. Ha vinto l’Inter che ha giocato per vincere. Ha perso la Juve che era scesa in campo quasi solo per non perdere. La squadra che si sapeva più forte si è dimostrata superiore, quella più debole è apparsa distante, sicuramente più di quanto dicano il punteggio e la classifica, anche se ora quest’ultima comincia ad essere definita.

Inter-Juventus era la partita dell’anno, la sfida decisiva per lo scudetto. Non sappiamo se è stata davvero un match point, lo diranno le giornate che verranno, forse già la prossima quando i nerazzurri saranno impegnati fuori casa contro la Roma. Se non dovessero perdere punti nemmeno all’Olimpico allora avrebbero spianata un’autostrada davanti fino al titolo. Però intanto il big match di San Siro ha lanciato comunque un messaggio chiarissimo. L’Inter ha vinto e convinto, ma non è stata una ripassata come quella dello straripante Napoli di Spalletti dello scorso anno (5-1 al San Paolo, ben prima della penalizzazione in classifica per le plusvalenze). In una sfida che è stata in bilico fino all’ultimo nel punteggio, ma non è stata mai davvero in discussione, l’Inter si è imposta di giustezza e di misura. Qualcuno direbbe di “corto muso”, ma un corto muso alla Inzaghi.

Per carità, l’Inter ha comunque dominato. Senza i miracoli di Szczęsny su Barella e Arnautovic oggi racconteremmo un’altra storia, mentre Sommer non ha fatto una parata (come ha sottolineato in maniera un po’ sibillina Inzaghi nel dopo partita). Ma ciò che colpisce, più del punteggio, è la padronanza con cui i nerazzurri hanno condotto la gara. Accelerando all’inizio, quando bisognava sbloccarla, e rallentando dopo, una volta segnato, lasciando la palla agli avversari sapendo che non avrebbero saputo che farsene (ancora una volta sono emersi tutti i limiti in fase offensiva nel copione di Allegri). Mostrando il solito bel gioco, ma guardando anche e sempre all’equilibrio, rischiando il giusto, cioè praticamente nulla (un paio di mezzi contropiedi e palle comunque sporche buttate in mezzo all’area). Senza strafare, facendo esattamente ciò che serviva, né di più né di meno, per vincere una partita così importante che può indirizzare tutta la stagione.

È questa la differenza rispetto al passato, in cui si traduce davvero la superiorità dell’Inter. L’Inter di Inzaghi ha sempre giocato bene, anche nei momenti più cupi (quando un anno fa di questi tempi sembrava a un passo dall’esonero) produceva occasioni a grappoli. Ma aveva problemi di tenuta psicologica, si smarriva nel corso della stagione e a volte all’interno della stessa gara. Il suo più grande difetto era di non chiudere le partite, subendo puntualmente la beffa nel finale. Ora a volte continua a non chiuderle, perché è proprio un limite strutturale di questa squadra, che non ha il killer instinct nei suoi interpreti. Però adesso le vince comunque. Come ieri contro la Juve, o sabato scorso a Firenze. Come fanno le grandi squadre, insomma.

Il percorso europeo, la finale di Istanbul raggiunta e giocata alla pari contro i marziani del City, hanno dato all’Inter di Inzaghi, e forse allo stesso Inzaghi, una maturità che non avevano mai avuto in questi tre anni. Oggi l’Inter è una squadra forte, che sa di essere più forte delle altre e non ha paura di giocare le partite decisive. Nemmeno contro la Juve, nei cui confronti – va detto – ha sempre avuto un po’ di timore reverenziale. Oggi l’Inter forse è davvero pronta per vincere qualcosa. Che conta.

Twitter: @lVendemiale

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