Dopo aver fatto un passo indietro trasformando le “dimissioni con effetto immediato” da sottosegretario alla Cultura in dimissioni “ancora da negoziare, Vittorio Sgarbi invia a Giorgia Meloni una lettera. Nel testo, annunciato domenica e pubblicato sulle pagine del Corriere della sera, stranamente non compare la parola “dimissioni” e il critico d’arte passa al contrattacco chiedendo “all’Antitrust” di “estendere l’indagine” a tutti gli esponenti del governo per accertare se vi siano altri “conflitti di interesse“.

Nella lettera indirizzata alla “Cara presidente”, Sgarbi conferma di non essere d’accordo con la delibera dell’Agcm, tanto da ribadire che farà ricorso al Tar contro la decisione dell’Autorità che ha censurato le attività private e sotto compenso del critico perché incompatibili con quella istituzionale. E lui stesso però a confermare che “la delibera è chiara”: “Non posso fare la vita che ho fatto per cinquant’anni, non posso essere me stesso e essere sottosegretario“, scrive contestando all’Antitrust di avere detto che è incompatibile con il ruolo di sottosegretario la sua “intera attività di scrittore, narratore curatore e storico d’arte”, “cioè è la mia vita“- scrive ancora – tornando in ballo anche la stessa presidente del Consiglio: “E con ciò (sarebbe incompatibile, ndr) anche promuovere e vendere i propri libri, come anche tu hai fatto“, dice Sgarbi a Meloni. Una decisione che il critico d’arte è “tanto ‘politicamente corretta’, quanto giuridicamente scorretta“. “Fa sorridere che uno possa, ‘per professione’, autografare e presentare libri o inaugurare mostre, e che ciò possa distorcere la funzione pubblica”, ribadisce. “In ogni caso – aggiunge Sgarbi nella lettera – sento il bisogno di ringraziarti per il comportamento da te tenuto nei miei confronti, sempre rispettoso, lineare e mai cedevole verso i molti e agguerriti oppositori che hanno imbastito una vera persecuzione giornalistica e televisiva ( con la tv di Stato!) sperando, con me, di mettere in soggezione te e il governo da te presieduto”.

Ma è la parte finale della lettera dove Sgarbi passa al contrattacco. Innanzitutto contro quel “ministro” che “ha promosso una indagine sul conflitto di interessi all’interno del governo”: il riferimento è al ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, lo stesso che ha segnalato il caso all’Antitrust e che – proprio per questo – il critico d’arte lo ha definito “uomo senza dignità“. Una sorta di “tradimento” che Sgarbi non vuole accettare e per questo scrive a Meloni che “è giusto” che lui stesso “chieda all’Antitrust che si estenda l’indagine a tutte le istituzioni, con gli stessi criteri“. Ma “non per ritorsione – precisa – ma per rispetto delle istituzioni alle cui decisioni io mi sono rimesso“. Alla premier chiede così di farsi “garante della integrità del governo quanto a possibili incompatibilità, se a me non è consentito parlare e promuovere in ogni modo l’arte e le mie idee”.

Come noto il critico d’arte è stato coinvolto in una serie di scandali di risonanza mondiale, svelati dalle inchieste del Fatto Quotidiano e di Report (qui tutte le tappe), sui suoi cachet d’oro ricevuti durante l’incarico di governo e, soprattutto, sul presunto riciclaggio di un quadro del Seicento rubato. Nei suoi confronti, inoltre, pendeva alla Camera una mozione di revoca sottoscritta da M5s, Pd e Alleanza Verdi e Sinistra, che si sarebbe dovuta votare il prossimo 15 febbraio. All’indomani del primo articolo del Fatto sul caso degli incarichi retribuiti, pubblicato il 24 ottobre 2023, era stata aperta un’istruttoria da parte dell’Antitrust. Questo procedimento era stato avviato su segnalazione del ministro della Cultura Sangiuliano. Il motivo per cui Sgarbi da giorni si scaglia contro di lui: “Non ci parliamo dal 23 ottobre. Non potevo sentire una persona che riceve una lettera anonima e la manda all’Antitrust”.

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Sgarbi ora tratta sulle dimissioni: “Sono ancora sottosegretario, devo negoziare col governo”. Aveva detto: “Lascio con effetto immediato”

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