Ieri è stata la Giornata mondiale contro il cancro, guidata dall’Union for International Cancer Control (UICC) e organizzata ogni 4 febbraio. In Italia, nel 2023, sono state stimate 395.000 nuove diagnosi di tumore – 208.000 uomini e 187.000 donne – con un incremento di 18.400 diagnosi, registrando un +5% rispetto al 2020. Il tumore più frequentemente diagnosticato, nel 2023, è stato il carcinoma della mammella (55.900 casi), seguito dal colon-retto (50.500).

Con un eccezionale sforzo scientifico, uno studio dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) ha sancito che: “Le persone più povere che si ammalano di cancro hanno un rischio di morte maggiore di quelle benestanti. In Italia, infatti, il 26% dei pazienti oncologici, oltre alla malattia, è costretto a fronteggiare anche problemi di natura economica. Durante il trattamento, più di un paziente su quattro incorre in un peggioramento della sua situazione finanziaria. E vede le sue probabilità di guarigione ridursi: nei mesi e negli anni successivi alle cure, queste persone avranno un rischio di mortalità maggiore del 20% rispetto agli altri pazienti affetti da patologia neoplastica. È la ‘tossicità finanziaria’, l’ennesimo esempio di disuguaglianza presente nel nostro Paese.
La tossicità finanziaria, tipica dei sistemi sanitari di natura privatistica, come quello statunitense, è diventata un problema rilevante anche in Italia, nonostante sia presente un sistema universalistico.”

Anche nell’800 eravamo tutti consapevoli che i poveri morivano di tisi molto di più e molto prima dei ricchi che per curarsi magari venivano nelle meravigliose terre campane e del sud Italia vicino al mare e piene di sole. A quei tempi però almeno lo Stato non erogava miliardi di euro per pagare farmaci innovativi (efficaci o solo follemente costosi?) per tentare di curare chi si ammalava e i medici quello che prescrivevano lo facevano pagare integralmente in farmacia, anche con prodotti galenici e naturali, senza far gravare miliardi di euro pubblici per farmaci sotto brevetto. Cosa che – senza neanche farlo sapere ai pazienti – succede oggi.

Con grande sforzo scientifico, abbiamo dunque appreso che chi è più povero muore di cancro prima di chi è più ricco: “Nel nostro Paese, infatti, la tossicità finanziaria non è tanto correlata ai costi necessari per le cure. Quanto, per esempio, alle ripercussioni che la patologia ha sulla vita lavorativa del malato, del suo caregiver o in generale della sua famiglia. O alle spese che devono essere sostenute per recarsi nei luoghi di cura, come spiega il presidente dell’Aiom, Francesco Perrone: ‘Questo non riguarda solo i casi estremi di migrazione sanitaria da Sud a Nord – commenta -. I problemi possono nascere anche per raggiungere dalla provincia i centri specialistici nelle grandi città’”.

Tutto semplice, tutto logico e apparentemente lineare. Possibile però che i nostri scienziati si pongano il problema della tossicità finanziaria per il trasporto verso il centro di cura ma non si pongano nemmeno la domanda su che cosa significhi sopravvivere – e cercare non solo di curarsi ma soprattutto evitare di ammalarsi – se, in quanto poveri, milioni di cittadini campani vivono vicino a fonti terribili di inquinamento tossico, come certificato dai dati Ispra e da tutti gli studi dell’Istituto Superiore di Sanità sul tema?

È possibile che in Campania nessuno si ponga nemmeno la domanda se ci si ammala e si muoia di cancro più che in tutta Italia anche perché i poveri vivono tutti in prossimità o a ridosso di circa 2746 siti tossici o con falde acquifere contaminate, mai bonificate e che ogni giorno di più ci vengono a dire che non saranno mai bonificate, come abbiamo appreso in questo giorni per Napoli est e Bagnoli nelle cui sole zone vivono circa due milioni di cittadini campani e napoletani?

Perché in Campania tutti gli scienziati non prendono in considerazione le parole inquinamento, contaminazione dei cittadini per non dire “Terra dei Fuochi”? Eppure ogni giorno che passa – e con dati inoppugnabili ma non provenienti dai nostri Registri Tumori campani, non funzionanti ma sempre da fonti scientifiche nazionali e internazionali – i dati certificano che il massacro dei cittadini campani per cancro da inquinamento ambientale aumenta senza pietà. Ma in Campania pare proprio che nessuno legga questi studi.

Domanda: secondo voi, è più facile che ci si ammali e si muoia prima perché essendo povero si vive in prossimità di uno di quei 2746 siti campani inquinati da bonificare – e che mai saranno bonificati – o si muore prima solo perché si ha difficoltà a raggiungere in auto i luoghi di cura necessari? Non ci dobbiamo dispiacere se, correttamente, le Provincie di Trento e Bolzano vincono sempre in tutte le classifiche di qualità della vita ma anche, e soprattutto, i loro cittadini hanno ben tre anni di vita in più certificati da Istat rispetto a qualunque altro cittadino (ancora italiano) che nasce oggi a Napoli e Caserta. A Napoli e Caserta si muore di più e prima solo perché si ha difficoltà di accesso agli ospedali, o anche perché si vive in terre pesantemente inquinate e contaminate, dove godono di buona salute solo le pummarole?

Non esiste peggiore cieco di chi non vuol vedere, come fanno gli scienziati e i medici in Campania.

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