Il 6 febbraio si celebra la Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili (MGF), istituita dalle Nazioni Unite con l’obiettivo di sensibilizzare e portare all’eliminazione della pratica, riconosciuta come una violazione dei diritti umani. Secondo i dati di Unfpa, sono oltre 200 milioni le donne nel mondo che lo hanno subito e nel 2024 si prevede che siano 4,4 milioni le donne a rischio. L’Italia è uno dei Paesi che ospita il maggior numero di donne escisse, più di 87mila, come conseguenza del flusso migratorio di donne che arrivano da zone del mondo in cui il fenomeno è molto diffuso: secondo i dati del 2019, le donne con Mgf erano 87.600, di cui 7.600 minorenni, mentre 5 mila erano le bambine, provenienti prevalentemente dall’Egitto e dalla Nigeria.

Amref, ong che si batte contro le MGF, ricorda che l’Africa è il continente in cui è più diffuso il fenomeno: 91,5 milioni di ragazze di età superiore a 9 anni risultano essere state vittime delle mutilazioni. Si tratta di pratiche molto pericolose per le donne e le bambine: mettono a repentaglio la loro salute fisica e mentale; limitano la possibilità di condurre una vita sana e soddisfacente; aumentano il rischio di gravi dolori, emorragie e infezioni e la probabilità di altre complicanze sanitarie più avanti nella vita, compresi i rischi durante il parto, che possono mettere a repentaglio la vita dei neonati. Inoltre la mutilazione, può anche portare alla morte, come è accaduto di recente a tre ragazze di 12, 13 e 17 anni della Sierra Leone.

“È una pratica antica che si è tramandata di generazione in generazione”, ha raccontato Awa Diallo ex tagliatrice. Nella comunità di Diallo, nel sud del Senegal, spiega ancora la ong, oltre il 40% delle ragazze è sottoposta ad MGF praticata come segno di identità culturale. Awa Diallo ora è un’attivista contro le mutilazioni e fa parte del African Led Programme di cui Amref è promotore. Amref lavora anche in Etiopia, Uganda, Malawi, Kenya e Senegal: l’attività, fa sapere la ong, ha permesso, dal 2009 ad oggi, di ridurre significativamente queste operazioni, proteggendo migliaia di ragazze. La pratica, in alcuni Paesi, ha una motivazione sociale e indentifica il momento in cui una ragazza è pronta per il matrimonio; uno degli obiettivi di Amref è fare in modo che le comunità abbiano la possibilità di scegliere riti di passaggio alternativi che non comprendano le mutilazioni genitali. “In Italia ogni giorno lavoriamo ispirandoci alle buone pratiche che nei Paesi africani Amref sta portando avanti”, ha spiegato Laura Gentile, Project Coordinator di Amref Italia. “Sul territorio italiano ci occupiamo non solo di formare e sensibilizzare servizi ed istituzioni, ma costruiamo con loro delle reti di azione con i membri delle comunità legate a Paesi in cui la pratica delle MGF e con le nuove generazioni, come con il Progetto Y-ACT, presente a Roma, Milano, Torino e Padova, dove sono già attive Reti di prevenzione e Contrasto alle MGF.”

Le mutilazioni genitali femminili in Italia sono vietate dalla legge (l. n. 7/2006) che stabilisce anche una serie di misure di prevenzione e assistenza delle vittime. I problemi che sono emersi riguardano la mancanza di formazione di chi, nel settore sociale, sanitario, educativo e legale, entra in contatto con bambine, ragazze e donne, il coinvolgimento limitato delle comunità praticanti e l’accesso ridotto ai servizi assistenziali e medici. “Ancora troppo spesso le mutilazioni genitali femminili sono considerate un fenomeno lontano, che non ci riguarda. E invece sono una forma di violenza presente in molti territori italiani” afferma Aisha Ba, Community Trainer per ActionAid Italia. Serve rendere visibile questa “gravissima violazione dei diritti umani e, soprattutto, prevenirla e combatterla” tramite una strategia delle istituzioni centrali e locali mirata a migliorare le procedure e le politiche attuali.

Secondo le associazioni e chi lavora con le donne, in Italia il sistema sanitario dovrebbe riconoscere le conseguenze fisiche e psicologiche derivanti dalle Mgf, prevedendo il loro inserimento nella lista dei livelli essenziali di assistenza per le patologie croniche e garantire l’accesso alle cure anche per le donne e ragazze prive di assistenza sanitaria mediante apposita codifica STP (Straniero temporaneamente presente) o titoli simili a seconda dello status giuridico.

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