L’ultima volta che lo hanno visto vivo, alle tre di notte del 4 febbraio, Ousmane Sylla stava pregando. Voleva tornare da sua madre e lasciare per sempre l’Italia. Il suo suicidio, avvenuto nel Centro per il rimpatrio (Cpr) di Ponte Galeria a Roma, si aggiunge alla lista di orrori che ogni giorno vengono denunciati dai centri di permanenza per il rimpatrio sparsi per il Paese, otto quelli aperti attualmente. Le condizioni in cui vivono i trattenuti in queste strutture sono certificate dai report dei Garanti delle persone detenute e private della libertà, dalle denunce delle associazioni di settore e dalle inchieste giudiziarie in corso che, al momento, riguardano i centri di Milano e Potenza.
Secondo la Relazione annuale 2023 del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, che elabora i dati forniti dal Dipartimento di pubblica sicurezza del ministero dell’Interno, sono morte cinque persone dentro un Cpr nel 2022. Il numero sale a 14 se si considerano gli ultimi cinque anni, come ha ricostruito il report “Al di là di quella porta” pubblicato lo scorso ottobre dall’associazione Naga e dalla rete Mai più lager – No ai cpr (che raccoglie immagini e testimonianze da tutta Italia e che per prima ha diffuso la notizia del decesso di Sylla). Quotidiani i tentativi di suicidio e gli atti di autolesionismo all’interno dei centri, dove le condizioni di permanenza sono spesso estreme.
I morti “di e nel cpr” – Poco o niente si sa delle 14 persone che hanno perso la vita dentro un Cpr in Italia negli ultimi cinque anni, che la rete Mai più lager – No ai cpr e l’associazione Naga hanno definito “invisibili”, morti “di e nel Cpr”. Erano quasi tutti uomini e avevano in media 33 anni. Due migranti sono morti a Ponte Galeria: nel 2022 un 34enne originario del Pakistan e nel 2018 una donna, l’unica secondo i dati disponibili, una 46enne di origini ucraine. Quattro i morti a Gradisca d’Isonzo (Gorizia), tre a Brindisi, uno a Palazzo San Gervasio (Potenza), uno a Caltanissetta. A Torino, struttura al momento chiusa, hanno perso la vita in due, tra cui Moussa Balde, 23enne originario della Guinea trovato morto nel maggio 2021 nella sezione di isolamento del Cpr, dove era stato portato in seguito a un’aggressione subita a Ventimiglia. In molti dei Cpr d’Italia sono state documentate violazioni dei diritti di base. Tra questi, la mancata assistenza sanitaria, con malati trattenuti senza accesso alle cure, intossicazioni alimentari, percosse e farmaci somministrati sistematicamente allo scopo di tenere gli ospiti sedati.
L’inchiesta a Milano – A dicembre è stato disposto il sequestro del Cpr di via Corelli, a Milano. Per la Procura l’accusa è di frode in pubbliche forniture e turbativa d’asta. Ma agli atti ci sono immagini, audio e testimonianze di una struttura fatiscente ed estrema, con topi e piccioni nei moduli abitativi e in sala mensa, sporcizia ovunque e cibo che la Procura ha definito “maleodorante, avariato, scaduto”. Assenti i servizi di assistenza sanitaria, negata anche a migranti con epilessia, epatite e tumore al cervello, che in queste condizioni non avrebbero dovuto presumibilmente superare la visita di idoneità per l’ingresso.
Nei video, girati anche dagli ospiti in detenzione amministrativa, si vedono vaschette di cibo con vermi e migranti che non riescono a reggersi in piedi perché sotto effetto di psicofarmaci. Nei messaggi esaminati dagli inquirenti ci sono frasi come “Voglio morire” e “Qualcuno si è impiccato”, “Neanche i cani vivono così”. A pronunciarle erano i trattenuti. Le condizioni generali della struttura sono poi da sempre sovraffollate, con moduli abitativi, cioè celle, di 20 metri quadri, ciascuno con sette stanze da quattro persone. Da anni gli attivisti denunciano irregolarità, che si sono ripetute anche con gestioni differenti da quella sotto accusa. Diversi i gesti di protesta in via Corelli resi noti dalle associazioni. Nel 2022 un uomo di origini tunisine si era cucito la bocca e aveva intrapreso uno sciopero della fame di due giorni. Secondo la sua testimonianza, il filo sarebbe poi stato “tagliato a forza e senza l’assistenza medica mentre un gruppo di agenti lo immobilizzava”.
L’inchiesta di Potenza – Abusi sono documentati anche nell’inchiesta aperta dalla procura di Potenza sul Cpr di Palazzo San Gervasio. Secondo gli inquirenti, qui tra il 2018 e il 2022 ci sarebbero stati almeno 35 casi di maltrattamenti e una “menomazione della dignità umana”. Gli operatori ascoltati dall’autorità giudiziaria hanno raccontato di episodi di pestaggio da parte degli agenti intervenuti in seguito a rivolte, con trattenuti che presentavano contusioni ed ematomi su tutto il corpo. A emergere dall’inchiesta di Potenza è un sistema che da un lato usava la violenza con chi dava problemi e dall’altro cercava di prevenire eventuali sommosse creando farmacodipendenza, abitudine diffusa in tutti i cpr d’Italia e documentata da un’inchiesta giornalistica di Altreconomia. A Potenza, oltre mille confezioni di Rivotril sono state sequestrate, un medicinale a base di benzodiazepine che genera un forte stato di intontimento. A causa di queste somministrazioni, che avvenivano senza visite psichiatriche, dopo settimane di trattenimento i migranti diventavano zombie e avevano sviluppato comportamenti anomali, come il “camminare in cerchio”. Secondo la Procura, la somministrazione massiccia di psicofarmaci veniva adoperata per “modificarne i comportamenti”.
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