L’Unione Europea usata come bancomat dai clan mafiosi di Tortorici. Ancora una volta, alla luce del sole, migliaia di euro erogati dall’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (Agea) finivano nella casse dei Batanesi e dei Bontempo Scavo, famiglie mafiose dei Nebrodi specializzate da anni nelle truffe sui fondi europei. L’operazione antimafia “Nebrodi 2”, coordinata dal procuratore aggiunto Vito Di Giorgio dalla procura di Messina, insieme ai Ros, al comando tutela agroalimentare dell’Arma, guardia di finanza e squadra mobile di Messina, ha portato all’arresto di 23 persone sulle 60 indagate, 14 misure interdittive, oltre al sequestro preventivo di 349 titoli Agea e oltre 750mila euro nei conti di 8 società.
Le stesse famiglie al vertice – Solo a novembre 2022, il tribunale di Patti aveva inflitto oltre 600 anni di carcere ai componenti delle famiglie mafiose Bontempo Scavo e Batanesi, nel maxi processo “Nebrodi”, condannando 91 persone e confiscando 16 aziende proprio per le truffe sui fondi europei. Eppure nella nuova inchieste, che vede le sue ramificazioni nelle province di Catania, Enna, Gorizia, Messina, Rovigo e Siracusa, ancora una volta emergono le stesse famiglie mafiose al centro del sistema di frode. Questa volta in manette sono finiti Salvatore Bontempo Scavo (detto “l’avvocato”), Salvatore Giglia, Albio Cammareri e Sebastiano Bontempo Scavo (“Piricoco”), figure verticistiche dei Bontempo Scavo; e Carmelo Bontempo Scavo (“Pittinissa”) e il fratello Sebastiano (“Spacchiusu”) dei Batanesi. A fornire un contributo investigativo sono stati i collaboratori di giustizia Carmelo Barbagiovanni, (“muzzuni”), Giuseppe Marino Gammazza (“scarabocchio”) e Salvatore Costanzo Zammataro (“Sanfratellano” o “Patataru”).
Truffa e titoli tossici – Come noto l’Unione Europea sostiene la produzione agricola dei paesi membri con l’erogazione dei fondi Feaga e Fears, erogati tramite l’Agea. Per ottenere il contributo, le aziende presentano un elenco di “titoli”, ovvero la “cartolarizzazione” e la “patrimonializzazione” delle superfici aziendali destinate all’attività agricola. E’ proprio in questo sistema che i clan, per ottenere più “titoli” possibili, ricorrono a numerosi prestanome drogando il mercato con “titoli tossici”, ovvero intestandosi falsamente particelle catastali di altri proprietari.
I Bontempo Scavo e Batanesi usavano un doppio escamotage per eludere i controlli. Nel primo caso dichiaravano la compravendita di terreni passandoli ad un congiunto incensurato per una cifra superiore al prezzo di mercato. Si tratta di valori che sfiorano “il milione di euro”. In questo modo “asserita l’usucapione non accertata giudizialmente” – scrive il gip Eugenio Fiorentino – i terreni vengono concessi “in affitto a terzi”, sempre collegati al contesto familiare mafioso, eludendo “le circolari Agea che, per i casi di usucapione di terreni, impongono invece la sussistenza di una sentenza dichiarativa”. Così facendo, i clan dichiarano nella domanda all’Agea di essere “allevatori attivi, titolari di impresa individuale”, e il gioco è fatto.
Terreni del demanio e pubblici – Altro sistema invece è quello di inserire nell’elenco “la disponibilità di terreni in realtà non corrispondenti agli ettari nell’effettiva disponibilità dell’azienda agricola – scrive il gip – all’insaputa dei reali proprietari”. Così nelle domande si trovano particelle intestate al “demanio della Regione Sicilia o nella titolarità di enti pubblici”, oppure di “ignari cittadini privati”. Una proprietaria si era accorta di aver perso la titolarità delle sue particelle solo dopo anni, e quando aveva cercato di riottenere il suo legittimo terreno, era stata vittima di danneggiamenti, con “un esteso incendio di alberi di fico d’india e il taglio di 70 ulivi”. Un modo per costringerla a vendere “sottoprezzo”. Ma per presentare le domande servono dei pubblici ufficiali, e per questo sotto inchiesta sono finiti gli operatori dei Centro Assistenza Agricola (CAA), Alfio Pillera e Carmelo Vitale (Fenapi Catania), e Francesco Princiotta (Fenapi Messina) accusati di truffa aggravata, perché avrebbero validato le false domande presentate dai mafiosi o dai loro prestanome.
L’estorsione di Pasqua e Natale – Tra gli episodi finiti sotto la lente degli inquirenti c’è anche quello raccontato dal collaboratore Giuseppe Marino Gammazza detto “scarabocchio”, durante l’interrogatorio del 2020: “Un’impresa calabrese, della quale non ricordo il nome, è stata sottoposta ad estorsione tra la fine del 2014 e l’inizio del 2018. L’impresa ha realizzato lavori per il metanodotto tra i comuni di Santo Stefano, Camastra e Mistretta. I pagamenti erano effettuati a Pasqua e Natale. Non so se ‘Gilletto’ (Giuseppe Gilletto, arrestato, ndr) per ottenere i soldi della estorsione sovrafatturava o meno. La rata che io personalmente ho riscosso era di 2.500 euro”. Gli investigatori ritengono che per la “messa a posto” versata sarebbe stata superiore ai 4mila euro.