“Se il trauma di un conflitto è di un gruppo, di una comunità, di una intera città, di un paese, quello che accade è che si moltiplicano i frutti dell’odio, del rancore, del desiderio di vendetta rendendo molto più complesso, a volte quasi impossibile, il processo di elaborazione e di pacificazione tra i popoli”. Ambra Cusin, psicologa e psicanalista.

L’ha intervistata Anna Maria Selini, giornalista seria e appassionata, che ha recentemente realizzato un podcast di grande spessore:OSLO 30, l’illusione della pace. Selini ripercorre quella storica stretta di mano tra Rabin e Arafat a Washington, 13 settembre 1993, cosa avrebbe potuto rappresentare ma soprattutto com’è andata a finire. E quello che rivela nelle interviste spalanca la realtà sull’impossibile soluzione diplomatica. Selini raccoglie voci e testimonianze di chi c’era, di chi ha saputo e fatto, di chi poteva ma non voleva. È l’ostinazione infaticabile di un giornalismo d’inchiesta che ancora c’è, di trovare una ragione, se esiste, al male della guerra e, come dice Tonio Dall’Olio (fratello di Padre Dall’Olio scomparso in Siria), al “virus dell’odio”.

Dall’11 settembre americano al 7 ottobre del governo d’Israele: la simbologia inarrestabile della comunicazione “giustificativa” si concretizza nella reazione dell’esercito israeliano, che da oltre 4 mesi costringe la popolazione civile palestinese della Striscia di Gaza a subire una rappresaglia, finita sui banchi della Corte Penale Internazionale dell’Aia con l’accusa di genocidio. La violenza e brutalità sono le peggiori prove del male, tanto di Hamas quanto dell’ostinazione a difendersi di Netanyahu e di chiunque ragioni con l’oppressione: ad oggi sono oltre 27.000 vittime civili palestinesi, di queste oltre 10.000 sono bambini.

Chi glielo dice di cessare il fuoco e di sedersi attorno a un tavolo a parlare di pace?

Selini chiede ad Ambra Cusin, che conosce bene la Terra Santa e si è occupata del conflitto israelo-palstinese anche da un punto di vista psicologico, dell’incontro tra israeliani e palestinesi e dell’impossibilità, spesso, di confrontarsi. “Quindi questo conflitto non ha soluzione?” e Cusin: “Era impossibile trovare un accordo tra quello che dicevano. Le cose che sto dicendo danno un senso di mancanza di speranza, per me motivo di un enorme dolore. Perché la guerra non è tra israeliani e palestinesi, chiariamocelo! Da un lato la Shoah e dall’altro la Nakba fanno sì che ci sia uno stato di autodistruzione reciproca”. Ma come se ne esce? “Dobbiamo fare una lotta costante tra la vitalità e l’autodistruzione. Dobbiamo diventare più umani, vuol dire riuscire a gestire la propria distruttività, aggressività e violenza che abbiamo dentro. Questo è essere più umani”.

E proprio questo ci insegna ancora Vittorio Arrigoni, restiamo umani, la cui voce, in “OSLO 30”, ci restituisce passaggi di commovente coraggio. La stessa Anna Maria Selini, tuttavia, aggiunge che restare umani non è solo cessare il fuoco, ma scavare e documentare le violazioni commesse, perché ognuno sia chiamato a rispondere alla legge e non all’odio. Prima che siano rase al suolo anche le impronte della colpa.

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