Vivace botta e risposta a Otto e mezzo (La7) tra il giornalista Sigfrido Ranucci e il direttore editoriale del Secolo d’Italia, Italo Bocchino, che commenta il precedente intervento del conduttore di Report: “Sigfrido Ranucci è la prova vivente che c’è una elevata libertà di stampa“.
L’ex parlamentare del Pdl viene subito interrotto dalla conduttrice Lilli Gruber che obietta: “Veramente è sotto scorta e ha oltre 170 denunce. Si può sempre girarla in un altro modo”.
Bocchino ribatte: “La stampa racconta che il servizio pubblico è stato occupato militarmente dalla destra e il fatto che Ranucci faccia le inchieste che fa dimostra che non è vero. Poi ha le querele: se sono liti temerarie, le può denunciare. Se si tratta di querele, uno quando si sente colpito ha diritto a difendere il proprio onore”.

Bocchino poi cita le inchieste di Report su La Russa e su Meloni: “In questa fase Ranucci ha rivolto la capacità ossessiva che mette nel lavoro anche su personaggi che lui ritiene essere obiettivi delle sue inchieste”.
Ancora una volta insorge Gruber: “Che vuol dire ‘capacità ossessiva’? O è capace o non è capace”.
“L’ossessione è un dato positivo sul lavoro”, risponde Bocchino.
“Si chiama ‘accuratezza’, allora”, replica la giornalista.
L’ex politico finiano ribatte: “L’ossessione però a un certo punto ti fa percepire una persona come un obiettivo su cui devi assolutamente puntare. Io credo che su un paio di cose Ranucci sia andato un po’ a ravanare nell’immondizia, come nelle vicende di La Russa e di Meloni. È andato a prendere personaggi come il colonnello dei carabinieri in pensione da 50 anni e un signore screditato e pentito a cui nessuno crede”.

Ranucci non ci sta: “Intanto, non c’è nessuna ossessione, ma solo una ricerca dei fatti. Adesso l’onorevole Bocchino si spogli dei panni del politico“.
“Non sono onorevole – ribatte Bocchino – Sono un collega giornalista”.
“Sì, ma sta ragionando da politico e da difensore della casta politica – replica Ranucci – Se, allora, da direttore di un giornale, lei viene a sapere che il padre della presidente del Consiglio a un certo punto è riconosciuto come braccio destro di un boss (Michele Senese, ndr), non dà la notizia?”.
“Ma da chi è stato riconosciuto? – insorge Bocchino – Da un signor nessuno”.
Il riferimento è a Nunzio Parrella, collaboratore di giustizia e uomo di camorra che ha raccontato la gestione illecita dei rifiuti in Campania. “Il signor Parrella – sottolinea Ranucci – è stato considerato autorevole per quello che riguarda la vicenda del boss Senese”.
Un avanzo di galera“, rincara Bocchino.
“Beh, ne abbiamo anche in Parlamento in qualche caso“, ironizza Ranucci.

Il giornalista poi puntualizza: “Noi abbiamo fatto il nostro lavoro. Dopodiché sfido il direttore di un giornale, quale è Bocchino, ad avere una notizia del genere e non darla, perché in caso contrario ci sarebbe un’autocensura su questo. Anche su La Russa voi continuate a girare sulla storia dell’informativa del colonnello Riccio e del capomafia Luigi Ilardo ma noi abbiamo dato anche altre notizie molto importanti su cui non ho sentito proferire nessuna critica“.
E spiega: “Noi abbiamo detto che il cognato di La Russa si è nascosto dietro una fiduciaria per intascare soldi della pubblica amministrazione provenienti dalla sanità lombarda per gestire un call center. Ma non ha pagato i dipendenti, né l’Iva. Questo è normale per Bocchino?“.
“Se ne occupi la magistratura”, risponde il direttore del Secolo d’Italia.
“La Russa – continua Ranucci – ha un socio, Sergio Conti, che si è rivolto alla ‘ndrangheta per recuperare crediti. Io non credo che sia una cosa normale”.

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