Nuovo voto e nuova sconfitta per il governo di Renato Schifani. Dopo la bocciatura, la scorsa settimana, del Salva Ineleggibili, la maggioranza di centrodestra incassa una nuova débâcle. E non a caso: per molti è la diretta conseguenza di quanto avvenuto la scorsa settimana, quando la norma voluta da Fratelli d’Italia per salvare il posto in aula di suoi due deputati regionali (in Sicilia i consiglieri sono equiparati ai parlamentari) è stata bocciata. “Ora le province se le possono scordare” era stato il commento nelle file di Fratelli d’Italia. E così è avvenuto. All’Assemblea regionale siciliana si votava per il ripristino delle Province, uno dei temi più caldi per Schifani che già in campagna elettorale aveva annunciato la riforma per tornare all’elezione diretta degli organi rappresentativi. Un ritorno al passato che l’Aula ha respinto col carico di 40 voti contrari contro i 25 favorevoli. Il conto dei franchi tiratori è presto fatto: alla maggioranza mancano 12 voti, anche se potrebbero essere stati pure di più. Di certo il segnale del malcontento era arrivato forte e chiaro già da martedì pomeriggio, quando all’apertura del dibattito sulla riforma delle province, mancavano all’appello 10 deputati di Fdi. Il voto ha i colori della vendetta, quindi, nonostante il passaggio della presidente del Consiglio Giorgia Meloni a Catania, per la festa di Sant’Agata sembrava avesse portato i siciliani di Fdi a più miti consigli.

Ed è vero che secondo qualcuno la nuova débâcle è frutto di un voto contrario del tutto trasversale: i franchi tiratori sarebbero entrati in azione dai gruppi di Fratelli d’Italia, Mpa, Lega e Dc (non di Forza Italia, partito del governatore). Non a caso le opposizioni adesso chiedono le dimissioni del presidente di Regione: “Lo schiaffone a Schifani sulle Province si è sentito fino a Roma e non può non avere conseguenze. Questo governo deve andare a casa”, ha detto il portavoce del M5s, Antonio De Luca. “È giunto il momento di voltare pagina e di scegliere un presidente degno di questo nome. Alla luce di quanto è successo il presidente Schifani non può che dimettersi. C’è di mezzo la credibilità della Sicilia. D’altronde lui stesso aveva affermato entrando in aula che si sarebbe dimesso in caso di voto negativo, sia coerente e si dimetta”, ha aggiunto Cateno De Luca di Sud Chiama Nord. Michele Catanzaro, capogruppo del Pd, ha sottolineato che “ad una settimana dal tonfo sul ddl salva ineleggibili il centrodestra si sgretola nuovamente sulla riforma delle Province. L’immagine del governo che fugge dall’aula subito dopo il ko è la rappresentazione plastica di una maggioranza totalmente allo sbando”. “Sconcertante” ha detto Totò Cuffaro, alla guida della Dc, secondo il quale “con la complicità del voto segreto, qualcuno è stato evidentemente guidato da ben altri intendimenti e, probabilmente, preoccupato dalla possibilità di restituire ai cittadini la parola sul governo degli enti di area vasta. Sarebbe stato opportuno che chi non voleva il ritorno delle Province lo dicesse per tempo, evitando la vergogna”. Nelle retrovie del centrodestra, tuttavia, tra i franchi tiratori, c’è chi conta anche uomini di Cuffaro. E che la retromarcia sulle Province non convincesse più di qualcuno nel centrodestra pare fosse già palese, ancora prima del voto. “Ha sbagliato Schifani a puntare tutto su questa riforma”, sottolineano fonti della maggioranza. Il governatore, assente in Aula durante il dibattito sulla Finanziaria, era presente in aula la scorsa settimana e anche oggi: “Lo avevamo detto all’inizio dei lavori che la sua presenza Presidente non avrebbe portato bene – annota Cateno De Luca – È evidente che l’atteggiamento intimidatorio del presidente Schifani non ha sortito gli effetti sperati”. Nonostante i richiami dell’opposizione, però, nelle file del centrodestra impera lo scetticismo: “Resterà tutto immutato fino alle Europee, ma dopo bisognerà fare una valutazione seria delle forze in campo”, sottolinea un meloniano di lungo corso.

Anche perché l’aria è movimentata non solo tra i partiti della coalizione, ma anche all’interno dei partiti. Proprio oggi nella Lega si è registrato un nuovo smottamento, dopo le lotte intestine delle scorse settimane che vedevano due aree contrapposte, da un lato quella che fa capo a Luca Sammartino e dall’altro quella di Annalisa Tardino, spalleggiata dall’area vicina a Raffaele Lombardo. Oggi Tardino è stata sollevata dall’incarico di commissaria del Carroccio in Sicilia e al suo posto è stato nominato Claudio Durigon. Ufficialmente così Tardino può candidarsi come capolista alle Europee, ma per molti il risultato del commissariamento è un’indubbia vittoria di Sammartino. Una vittoria che potrebbe allontanare Lombardo dal Carroccio dopo il nuovo accordo siglato con Matteo Salvini lo scorso ottobre. Di certo nel centrodestra siciliano, tra sgarri, rancori e vendette, anche le Europee potrebbero riservare più di qualche sorpresa.

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