Seconda serata, clima più rilassato, conosciamo già tutte le canzoni, ma sono in scaletta solo la metà. L’innovazione consiste nel far presentare i cantanti in gara agli altri che non si esibiscono oggi. Cosa che, come osserva la stessa Giorgia sotto forma di battuta, toglie un po’ di lavoro a lei, ma per me si rivela provvidenziale affinché possa recuperare i La Sad che in questo ruolo almeno appaiono spiritosi e buffi, con le creste abbassate e lucidate dal gel e vestiti di speciali frac che sul retro rivelano l’immagine del volto di Amadeus con la capigliatura di ciascuno di loro.
Anche stasera gli stilisti hanno fatto cartello a favore di un totale nero, bianco, con qualche concessione al grigio chiaro e una propensione per le scollature profonde. E poi lustrini, lurex, lamè, tulle. Forse un omaggio agli inarrivabili varietà del sabato sera come Studio Uno. Una scelta che, lungi dall’omologare le varie personalità, rende armoniosa e intrigante ogni declinazione della tinta unita, conferendo ai costumi eleganza e sobrietà (di cui abbiamo enormemente bisogno). Qualche eccezione: Dargen D’Amico, sempre molto eccentrico, Big Mama, che aggiunge il rosso e la coppia Nek e Renga.
Arriva Giorgia e canta E poi, sciorinando tutto lo scibile delle sette note su scale che non finiscono mai. Siamo abituati da trent’anni ai suoi virtuosismi, oggi accompagnati dall’accresciuto fascino della sua maturità di donna e artista. Proclama di dare importanza maggiore, oggi, alle parole invece che alle note. Un intento per cantare ‘peggio’. Di fatto, nel medley, è tornata a fare sfoggio di tutta la perfezione stilistica di cui è padrona assoluta e il pubblico le ha reso omaggio alzandosi in piedi.
Pur apparendo un pochino ingessata, sorride moltissimo, si esprime spigliatamente quando racconta di alcune occasioni formidabili che ha rifiutato, pentendosene successivamente. Insieme ad Amadeus si concede un amarcord da boomer, rievocando i tempi delle musicassette a nastro. La sua presenza è una buona occasione per la serata di stasera.
Il momento più atteso credo però sia l’arrivo di Giovanni Allevi che, ferito nel corpo (dichiara di avere due vertebre fratturate, infatti si intravede un busto) e ingigantito nell’animo, racconta con il trasporto suo tipico e con evidente commozione, contagiosa per tutti, la malattia, la successiva rinascita e l’incontro con altri giovani sofferenti come lui. Appare tremante, vulnerabile e tenero. Si sfila il berretto rivelando così, con ritrovato orgoglio e accettazione, la sua nuova capigliatura, la folta, riccia zazzera scura di un tempo ricresciuta ingrigita.
Parla dei doni ricevuti, di quante albe e tramonti abbia visto dal letto dell’ospedale percependone la differenza, rivela quanto non abbia più importanza il giudizio degli altri e sia invece un regalo poter tornare a suonare davanti al pubblico. Esegue al pianoforte Tomorrow, una sua composizione, che spero non verrà criticata come tante volte si sono accaniti a fare nei suoi confronti, qualsiasi cosa facesse. Allevi è un personaggio che ha sempre diviso. Il mio augurio è che sfugga al cinismo e riceva il rispetto che merita e che secondo me ha sempre meritato, anche prima della sua malattia.
L’altro super ospite è John Travolta, stasera evidentemente solo in veste di ballerino, con il quale Amadeus rievoca alcuni passi che sono diventati di culto per diverse generazioni. Amadeus da vero fan chiede al figlio, giù in platea, una foto ricordo da pubblicare sui social. A questo punto scherza evitando di citare quali social, ovvio riferimento alla multa confermata dal Tar alla Rai, per il caso di pubblicità occulta a Instagram lo scorso anno. Tutto questo di fronte a un ignaro Travolta che non credo possa cogliere il senso della battuta.
Poi, condotto fuori dall’Ariston, gli si chiede di eseguire con Fiorello e Amadeus Il ballo del qua qua, con tanto di corpo di ballo in costume da papera giallo. Per fortuna Travolta, che pure educatamente, e forse non senza un certo imbarazzo, si presta alla trovata, ha un guizzo, in un estremo tentativo di ritrovata dignità, rifiutando di calarsi in testa (bofonchiando che non gli entra o qualcosa del genere) il becco arancio, indossato invece dai compari Amadeus e Fiorello.
Concludo con un accenno ai palchi fuori dal teatro. Vanno benissimo, un giusto intrattenimento per tutti coloro che non possono essere all’Ariston. Però, una domanda: a cosa serve riascoltare ora Made in Italy in tv? Niente di personale, anzi, è un brano allegro che canticchio ogni volta che lo ascolto, però ho come l’impressione che si debba a tutti i costi includere tutto per non scontentare nessuno. Un bel minestrone. E questo purtroppo vale anche per il grandissimo Bob Sinclair, ospite sulla nave, che si è esibito in uno stringato quanto inutile medley dei suoi successi, contornato da belle ragazze in abitini sexy.