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Fondi per sanità e istruzione, sicurezza a suon di repressione: qual è il modello di Nayib Bukele, il presidente rieletto del Salvador

Giovane, determinato, spregiudicato e preparato: Nayib Bukele si è già autoproclamato nuovo presidente del Salvador anche se ancora mancano i dati finali ufficiali. Al netto del riconteggio in corso non è una sorpresa né la sua vittoria alle Presidenziali né il fatto che la riconferma sia passata da un numero assai maggiore di voti rispetto all’elezione del 2019. Restano diverse ombre sul risultato elettorale. A partire dalla “forzatura” sulla Costituzione: il 30 novembre 2023 il Parlamento, con la maggioranza del suo partito di Bukele (Nuova Idea) ha accettato le dimissioni anticipate del presidente e così “aperto” alla rielezione come indicato dalla Camera Costituzionale della Corte Suprema di Giustizia di El Salvador, istituzione che dal primo maggio 2021 è sotto il controllo di Bukele grazie alla rimozione di 10 giudici critici con la sua “gestione del potere“.

E’ una storia tristemente già vista nell’America Latina in cui diversi presidenti hanno messo mano alle costituzioni per trovare stratagemmi, diverse volte oltre il limite dell’interpretazione, per potersi ricandidare. Il sistema presidenziale, dominante nel Centro e nel Sud America, ha alimentato le pulsioni dei caudillos, poco importa se si definissero di destra o di sinistra. Una gestione maldestra e determinata del potere e che ha mostrato in tanti casi l’incapacità dei partiti di affrancarsi dalla figura del leader e creare un ricambio generazionale. Nayib Bukele – 43 anni, imprenditore, figlio di un uomo d’affari e imam di origine palestinese – ha messo tutto questo a sistema e ha creato un vero e proprio modello: si definisce di sinistra, aumenta i fondi per sanità ed istruzione, “sperimenta” violente, repressive e criticate (più all’estero che fuori) politiche di sicurezza e investe in bitcoin. Le scelte in materia di economia e sicurezza hanno accesso l’interesse delle destre, non solo nel continente, e aperto dibattiti sul suo posizionamento.

Ciò che è chiaro e palese è che con la promulgazione dello “stato d’emergenza” per “combattere” la violenza di maras e pandillas – come si chiamano le bande criminali – è cresciuta la sua popolarità, anche perché molti degli oppositori e delle oppositrici sono in carcere o sono dovuti scappare dal Paese. Soprattutto sono giornalisti e giornaliste critiche ad essere in “esilio”, come accaduto a El Faro che ha dovuto trasferirsi in Costa Rica. Nel marzo 2022 è iniziato lo stato di emergenza e non si vede la sua fine. Ad oggi i dati ufficiali parlano di circa 74mila persone tratte in arresto (su 6,4 milioni di abitanti) e il conseguente crollo del tasso di omicidi, il più basso dell’America Latina. Il risultato è stato raggiunto con soppressioni di diritti umani e fondamentali come il diritto di espressione e di organizzazione.

Le ombre sul voto arrivano da lontano e sono state le dichiarazioni di Bukele a crearle: già prima di domenica aveva “predetto” che avrebbe preso più dell’80 per cento delle preferenze e la maggioranza assoluta in Parlamento. Pochi minuti dopo la chiusura dei seggi e davanti ad una folla festante ha “certificato” di aver raccolto “più dell’85% dei voti e un minimo di 58 deputati su 60 nell’Assemblea Legislativa”. Il tribunale supremo elettorale, ammettendo problemi e ritardi, non ha ancora ufficializzato i risultati e ha deciso di non convalidare lo scrutinio preliminare. La presidente dell’organismo giudiziario Dora Esmeralda Martínez de Barahonaha ha annunciato il riconteggio di 2.547 delle 8.562 urne per le elezioni presidenziali e il cento per cento di quelle per le legislative per contarle “voto per voto”. Non solo: il Consiglio elettorale dipartimentale di San Salvador da parte sua ha dichiarato di non aver ricevuto le schede elettorali necessarie per il ri-conteggio, evidenziando vari problemi tra i quali la mancanza di credenziali di alcune persone coinvolte nella giornata elettorale, l’intempestività nella consegna delle apparecchiature informatiche e delle schede, difficoltà di connessione a Internet per consentire ai seggi di trasmettere i risultati preliminari e anche una formazione carente dei membri dei seggi, che ha ostacolato l’efficiente conteggio dei voti.

Ad oggi nessuno fuori dal più piccolo Paese dell’America Centrale mette in discussione il successo di Bukele: un processo che rappresenta un vero e proprio modello di controllo del potere basato certamente sulla sicurezza, sulla violenza, sull’annientamento delle voci critiche ma anche su una fortissima e abile comunicazione pubblica oltre che nella spettacolarizzazione della repressione e nell’umiliazione di chi viene arrestato con l’accusa di essere parte di maras e pandillas. Non si sa se è la paura, se è la sensazione di sicurezza che si prova, se è la capacità di comunicazione di Bukele ma la certezza è che la popolarità del presidente è altissima tanto che se si fa un giro su Twitter si vede come da domenica sotto ai post critici sul processo elettorale piovono commenti critici e che difendono senza se e senza ma il presidente. E se il presidente dell’Ecuador Daniel Noboa non ha mai fatto mistero delle sue simpatie per il suo omologo salvadoregno, il governo di Javier Milei, in Argentina, ha mostrato appoggio totale alla sua elezione. Ora oppositori e oppositrici del presidente aspettano il verdetto dell’Organizzazione degli Stati Americani, che ha organizzato una missione d’osservazione, mentre secondo il Servizio europeo per l’azione esterna le elezioni “sono state pacifiche, ordinate e hanno dato un risultato chiaro”. “L’Unione europea – si legge ancora – si congratula con il popolo salvadoregno per il suo impegno a favore della democrazia. L’Ue si augura di lavorare su priorità condivise con il presidente Nayib Bukele e la sua amministrazione”.

I prossimi cinque anni saranno anche quelli che chiameranno Bukele a governare e rispondere alla crescente povertà. Per il Centro di studi di opinione pubblica della ong Fundaungo alla fine del 2023 7 persone su 10 (69,9%) segnalano che l’economia è il problema più grave che il Paese deve attualmente affrontare. Quasi 1,7 milioni di persone in El Salvador sono radicalmente povere e non saranno certo promesse, bitcoin e repressioni a farle mangiare.