di Leonardo Botta
Diceva Arnaldo Forlani, democristiano doc: “Potrei stare a parlare per ore, senza dire niente”. A questo gustoso aneddoto pensavo l’altro giorno, mentre guardavo un interessante servizio di Report sulla Democrazia Cristiana. O meglio, su ciò che è rimasto della gloriosa ‘Balena Bianca’.
In buona sostanza, qualcosa di decisamente grottesco: un centinaio di sigle politiche oggi, nel paese dei mille campanili, si richiamano al partito nato dall’illuminato pensiero di don Sturzo e cresciuto sulle gambe dei grandi interpreti del Novecento: De Gasperi, Fanfani, Moro, il pur controverso e dai comportamenti ambigui Andreotti, Mino Martinazzoli (l’ultimo traghettatore nell’epoca di Tangentopoli).
L’inchiesta del programma di Sigfrido Ranucci raccontava, insieme con le vicende relative alla gestione del considerevole patrimonio immobiliare democristiano dismesso per far fronte ai debiti, le tragicomiche battaglie a carte bollate tra i tanti sedicenti leader di improbabili soggetti discendenti del più grande partito di massa italiano nel dopoguerra; alcuni misconosciuti, altri più noti: su tutti Gianfranco Rotondi e Totò Cuffaro, quest’ultimo fresco di riabilitazione dopo l’espiazione della pena per concorso esterno in associazione mafiosa; insomma, una costellazione di micro-partitini (ciascuno meno affollato dell’assemblea di un piccolo condominio) tutti con più o meno lo stesso nome e lo stesso simbolo, il glorioso Scudo Crociato e l’un contro gli altri armato (della serie: “anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano”).
Ognuno di essi rivendicava caparbiamente di essere l’unico erede della Dc, diffidando gli altri a utilizzare nome e simbolo. Peccato che a tutti costoro i tribunali abbiano risposto picche: nessuno può legittimamente fregiarsene, se non il Partito Popolare, quello appunto dolorosamente nato dalle ceneri di Mani Pulite con il faticoso esodo nel deserto guidato da Martinazzoli e che successivamente diede vita alla Margherita, prima che quest’ultima si fondesse con i Ds nel Partito Democratico.
E intanto questi piccoli ‘statisti denoantri’ parlano, parlano, parlano, discettando di generici valori cattolici e liberali; cioè, forlanianamente, senza dire una beata cippa. Rispetto a loro pare davvero un gigante Paolo Cirino Pomicino (anch’egli intervistato dagli inviati di Report), vegliardo già doroteo plenipotenziario, poi pregiudicato ma sempre lucidissimo nelle sue analisi.
E a me, che li osservo più divertito che perplesso (e che democristiano non sono mai stato), viene tanta nostalgia della prima repubblica, l’era del proporzionale: in particolare, ho nostalgia di un personaggio che della Dc era alleato nel pentapartito, tale onorevole Filippo Caria, socialdemocratico. Il quale un bel giorno, in pieno delirio di onnipotenza, ebbe a esclamare: “Compagni, alle elezioni provinciali di Caserta il Psdi è passato da due a tre consiglieri: la socialdemocrazia avanza e conquista il mondo!”. Appunto: sic transit gloria mundi.