Al mio segnale scatenate l’inferno. Forse anche meno. Russell Crowe sul palco di Sanremo 2024 sa tanto di tappabuchi di lusso. Un po’ star del cinema decaduta, un po’ cantante intonato ed occasionale, Crowe si esibirà con i The Gentleman Barbers sorta di band country pop che spazia da brani scritti sia da Crowe e soci che a classici di Johnny Cash e dei Dire Straits, per una serata dal cachet irrisorio. Amadeus dice che l’ha fatto perché voleva essere a Sanremo a tutti i costi. Russell da par suo ha spiegato un mese fa di essere felicissimo per l’invito anche perché di recente sono riemerse incerte origini italiane, precisamente di Ascoli Piceno, risalendo ad almeno quattro generazioni passate. 59 anni il bel neozelandese oramai soggetto per quelle barzellette in cui una persona si fa prima a saltarla che a girarle attorno non è quel che si dice un cantante di prima fascia. Russell strimpella piuttosto bene il chitarrone (lo vedemmo all’opera qui), ma la pratica canora si è infittita negli ultimi anni quando la professione d’attore ha cominciato a diventare un po’ meno frequente. In famiglia Crowe respirava cinema fin dal nonno materno, direttore della fotografia, e dai genitori che davano da mangiare agli attori sui set.
Dalla Nuova Zelanda, dove nacque, all’Australia e di nuovo in Nuova Zelanda dove esordisce come attore ad inizio anni ’80 come Russell Le Roq. Di nuovo in Australia a 21 anni per seguire definitivamente la recitazione ed ecco l’esordio sconosciuto (Prisoners of the sun) e la prima vera parte di livello in Pronti a morire di Sam Raimi nel 1994 a Hollywood. Sul set incrocia Sharon Stone e Leonardo DiCaprio ancora bimbo e nel giro di cinque anni inanella parti che lo iscrivono nel libro mastro delle celebrità: una parte non proprio secondaria assieme a Kim Basinger in L.A.Confidential, è assoluto protagonista di The insider con Al Pacino e infine l’incoronazione popolare con il Massimo Decimo Meridio di Il Gladiatore diretto da Ridley Scott per il quale vince un meritatissimo Oscar come miglior attore.
È il periodo d’oro di Crowe. Star di prima grandezza ad Hollywood: nel 2001 è il matematico schizofrenico in A beautiful mind; nel 2003 è il monumentale capitano Jack Aubrey in Master and commander dell’immenso Peter Weir; fa il pugile in Cinderella Man, Robin Hood per Scott, Javert in una bella versione di I Miserabili, nientemeno che Noè in Noah di Aronofsky. Nel 2015 c’è tempo per rispondere sì a Gabriele Muccino per il film Padri e figli. Nel 2018 al povero Crowe tocca divorziare da Danielle Spencer conosciuta sul set di The Crossing nel 1989, sposata nel 2003, separato da lei nel 2012. E il divorzio è un discreto esborso tanto da rendere il corpulento Russell molto fragile economicamente (pare abbia venduto anche l’Oscar). Tocca accettare quello che capita. Crowe tiene famiglia (tre figli). Eccolo vestire il saio da esorcista del celebre Padre Amorth in The pope’s exorcism, filmaccio di serie z. Lo attendiamo come il nazista Goring in Norimberga di James Vanderbilt.
Fumantino Crowe, anzi un vero e proprio attaccabrighe, le cronache parlano di risse, parolacce, scontri accesi a livello verbale, ma a Sanremo sarà inappuntabile. Probabilmente in giacca e pantalone blu scuro. Si distinguerà da Amadeus per il barbone fitto e dal fatto che sa suonare una chitarra.