La seconda serata sanremese è sempre una delle più difficili. Se la prima è andata male scatta il nervosismo e l’ansia del riscatto a ogni costo; se la prima invece è andata bene o benissimo, come è accaduto quest’anno, l’ansia è quella dell’emulazione con il rischio di strafare. Niente di tutto ciò ieri, anzi una serata felice, migliore della prima, ricca di momenti piacevoli e interessanti.
C’è una cosa che dà il tono giusto al festival, una regola che, se permettete, da anni consiglio di seguire e che Amadeus quest’anno applica rigorosamente: chiunque sale su quel palco, chiunque sia nella sua vita, propone qualcosa di musicale. Niente monologhi, niente chiacchiere, niente storie o meglio storie che abbiano attinenza con la musica, che la mettano in scena o almeno la evochino. E’ così, grazie a questa formula, a questa linea coerente che si può possono riunire senza nessuna contraddizione due momenti tra loro distantissimi.
Dal racconto drammatico della malattia di Giovanni Allevi chiuso con il suo ritorno al pianoforte dopo due anni di inattività (bel colpo Amadeus!), si passa direttamente all’allegria creata dai due gruppi del liscio. Qualcuno storcerà il naso, anzi lo ha già fatto, a me, invece, pare che proprio in questi bruschi passaggi si esprima lo spirito festivaliero.
Alla fine in questa serata di piacevole baraonda a brillare di meno è stata Giorgia nelle vesti di co-co. Ingabbiata nel meccanismo ripetitivo dell “io presento te che presenta lui o lei”, ha recitato la sua parte tra lo svenevole e il petulante. E lo dico da ammiratore di Giorgia, fiducioso oltretutto nelle sua capacità attoriali dopo averla vista bravissima in un ruolo complesso nell’ultimo film di Papaleo. Peccato! Poi ci sarebbe il problema Travolta, su cui già si è scatenata l’iradiddio. Lascerei stare la gaffe del traduttore, direi che forse il suo amore per La strada si poteva approfondire, quanto al ballo del qua qua, per decidere se si tratti di una sublime espressione del pop o una rovinosa caduta nel kitsch ci penso ancora un po’.