A poco più di sei mesi dal faticoso rinnovo del ccnl, l'intervento della magistratura ha rivoluzionato il quadro. E un nuovo aggiornamento delle retribuzioni dell'intero comparto sembra a portata di mano
La raffica di interventi della magistratura su diverse grandi aziende della vigilanza privata ha innescato un effetto domino, in positivo, sui salari di tutto il settore. Pur di uscire dal controllo giudiziario disposto dalla procura di Milano, uno dopo l’altro i big hanno annunciato aumenti sostanziali: al momento offrono ai lavoratori paghe decisamente più alte rispetto a quelle dei competitor più piccoli, ferme al misero rinnovo contrattuale (140 euro lordi spalmati su quattro anni) sottoscritto lo scorso giugno. Paghe, di fatto, fuori mercato. Così la postura delle stesse aziende che per anni avevano frenato sull’adeguamento delle retribuzioni è cambiata. E ora, a poco più di sei mesi dall’accordo faticosamente raggiunto con i sindacati dopo anni di trattative, un nuovo aggiornamento delle retribuzioni dell’intero comparto sembra a portata di mano. Tanto che l’intesa potrebbe arrivare già giovedì, quando i confederali e le associazioni datoriali tornano a riunirsi per discutere della rivisitazione della parte economica del ccnl.
“Rispetto a maggio, quando è stato firmato il rinnovo, lo scenario è completamente stravolto”, riconosce Giuseppe Zimmari, segretario nazionale della Uiltucs. “Serve un riallineamento dei livelli garantiti a tutti i lavoratori e sono necessari adeguamenti anche per le guardie giurate“, che già partivano da condizioni retributive migliori rispetto a quelle dei vigilanti utilizzati di fatto come manodopera a basso costo anche in musei e ospedali. Ci sono ancora resistenze rispetto all’innalzamento dei costi in un settore ad alta intensità di lavoro, ma l’esito dei commissariamenti per caporalato e sfruttamento nell’ambito delle inchieste del pm Paolo Storari, che ha contestato stipendi inadeguati a garantire un'”esistenza libera e dignitosa”, ha cambiato gli equilibri.
“Per salvarsi dai commissariamenti”, ricorda Vincenzo Lauricella di Usb Vigilanza, che non ha firmato il ccnl, “prima Mondialpol e poi le altre grandi imprese coinvolte hanno deciso di aumentare le paghe del 38% entro il 2026 per il livello D, che lo scorso settembre è passato dai 950 euro pre rinnovo del contratto a 1.200 euro e tra due anni arriverà a 1.380 euro”. L’esempio è stato seguito da Cosmopol e Sicuritalia, che a valle del commissariamento ha pure acquisito la cooperativa Servizi fiduciari, in cui a forza di deroghe i salari erano ancora più bassi di quelli del ccnl. Mentre Battistolli Servizi Integrati, che l’anno scorso aveva disdettato il ccnl servizi fiduciari appena rinnovato in favore di quello (peggiorativo) firmato dall’Ugl, dopo il commissariamento non solo ha fatto marcia indietro ma ha pure deciso di versare in un’unica tranche tutti gli aumenti previsti fino al 2026.
Di fatto, un aumento del 40% rispetto all’inizio del 2023 è ormai considerato il benchmark che è inevitabile raggiungere: è intorno a quelle cifre che si ragiona al tavolo negoziale. L’attenzione delle imprese si è spostata sulle contropartite che potrebbero arrivare dal governo: da settembre il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon promette alle associazioni di categoria come Agci Servizi e Assiv (aderente a Confindustria) interventi per supportare l’ulteriore rinnovo. Nel mirino ci sono in particolare gli appalti in essere e le nuove gare della pubblica amministrazione basate su tabelle retributive obsolete, che non tengono conto degli ultimi aumenti. Di recente l’Unione nazionale imprese di vigilanza ha per esempio segnalato al ministero dell’Interno e all’Anac la gara per l’affidamento dei servizi integrati di vigilanza armata e servizi fiduciari del Policlinico di Bari. Contestando sia la riduzione del monte ore dei servizi, che – è l’avvertimento – “sfocerà inevitabilmente in licenziamenti collettivi”, sia la tariffa oraria posta a base d’asta che è di 15,07 euro l’ora contro i 15,50 dell’appalto del 2019. Una richiesta insostenibile secondo le imprese, che dopo aver chiesto la revoca del bando hanno presentato un esposto in procura.
Sullo sfondo rimane ovviamente il tema del salario minimo legale, che “sarebbe l’esito ideale”, dice Lauricella. “La magistratura si è sostituita alla politica ed è intervenuta dove la contrattazione collettiva aveva fallito, portando alla firma di contratti riconosciuti come incostituzionali. Ma questa dovrebbe essere una soluzione ponte per arrivare a un intervento legislativo che faccia almeno da base alla contrattazione. Impedendo fin dall’inizio la firma di ccnl con paghe base sotto i 1.200 euro al mese, che di fatto le sei sentenze di Cassazione dello scorso ottobre hanno individuato come livello minimo per un giusto salario costituzionale”. Il governo Meloni ha deciso altrimenti, bocciando le proposte di salario minimo e facendosi assegnare una delega per rafforzare la contrattazione esistente. “Quella che in molti casi partorisce retribuzioni da fame”.