“Non si tratta di cognomi e sicuramente non di politica”, ha detto Volodymyr Zelensky annunciando la rimozione di Valery Zaluzhny da comandante in capo dell’esercito ucraino, “si tratta del nostro sistema militare, della gestione delle Forze Armate e del coinvolgimento dell’esperienza di comandanti temprati dal combattimento”. È un fatto, però, che lui ha fatto un nome, quello del colonnello generale Oleksandr Syrsky, fino all’altro ieri al vertice delle forze di terra, che non lascia indifferenti, anche se le cronache frettolosamente tendono a citare solo i suoi successi nella battaglia di Kiev del marzo 2022 e in quella di Kharkiv nell’autunno dello stesso anno.
Il sostituto del generale Zaluzhny quando è nato si chiamava Alessandro secondo l’ortografia russa, cioè Alexander, e non quella ucraina, Oleksandr appunto: il cambio di nome è avvenuto, come adattamento alla lingua del suo nuovo Paese, una volta che, con l’indipendenza di Kiev alla fine del 1991, il nostro scelse di adottare il passaporto del Paese in cui dal 1986 prestava servizio come comandante di un plotone di fucilieri motorizzati della 25esima divisione. Era arrivato nell’allora Repubblica socialista sovietica di Ucraina – membro fondatore dell’Onu dal 1945, non una mera espressione geografica – dopo essersi laureato all’Alta accademia di comando militare di Mosca, un istituto fondato all’indomani della Rivoluzione d’ottobre da Vladimir Lenin e avente come motto “La marcia dei cadetti del Cremlino”.
Erede di una famiglia di militari, Syrsky era alla nascita di etnia russa: a parte il fatto che la lingua di Tolstoj era l’idioma ufficiale dell’Urss, in famiglia lui parlava solo quella, come anche il suo attuale superiore, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, appunto anche lui madrelingua russo. I suoi familiari lo hanno seguito nella sua nuova scelta di vita e di carriera, dopo il 1991? No. come hanno riportato alcuni canali Telegram nazionalisti russi, i suoi genitori e la gran parte dei suoi parenti continuerebbero a vivere nel natio oblast di Vladimir, a poche ore di macchina da Mosca, dove il nuovo comandante delle forze ucraine è nato, in un piccolo insediamento rurale. Qui ancora risiedono sua madre Ludmilla, suo padre Stanislav e suo fratello Oleg. La donna avrebbe consegnato ai blogger alcune foto della loro famiglia. Il patriarca, Stanislav, è un colonnello in pensione dell’esercito russo, mentre Oleg lavora come guardia di sicurezza. A dar retta alle fonti nazionaliste russe, prima della guerra i Syrsky erano attivi sui social media: non mancavano, allora, le immagini dove la famiglia indossava i nastri di San Giorgio, simbolo dell’imperialismo russo e vietati in Ucraina. Non è dato di sapere che rapporti abbia Syrsky con i suoi parenti rimasti in Russia: in Ucraina, come familiari noti, ha la moglie Tamara, alla nascita facente cognome Kharchenko, quindi molto probabilmente etnicamente ucraina, e i figli Anton e Oleksandr.
Insomma, il nuovo capo delle forze ucraine è “russo” di nascita, di madrelingua e anche di formazione, essendosi formato nella West Point sovietica. Quasi unico tra i media occidentali, il Washington Post ha riferito quello che un alto ufficiale di Kiev, protetto dall’anonimato, ha detto del suo nuovo comandante: “So solo quello che ho sentito dai miei subordinati. Il 100% di loro non lo rispetta perché non pensa che tenga conto della vita dei soldati.” Anche se ama intrattenere buone relazioni con i media e insiste spesso sull’importanza del morale delle truppe, Syrsky viene percepito dai soldati semplici come un comandante in stile sovietico che non ha esitato a far combattere le sue truppe – sotto i colpi devastanti delle artiglierie nemiche – nella guerra urbana a Bakhmut, nonostante le perdite fossero elevatissime, contro le forze preponderanti di Wagner, invece che attuare prontamente una ritirata tattica. Migliaia di soldati ucraini furono uccisi e molti altri feriti mentre difendevano la città che – con i russi di Prigozhin ormai dilagati nelle strade – non aveva più alcun valore strategico, come invece era stato nei mesi precedenti.
A differenza di Syrsky, Zaluzhny non ha mai prestato servizio nell’esercito sovietico e non ne aveva mai assimilato le dottrine. Il presidente ucraino sa che il suo “ex” gli ha lasciato un tesoretto di uomini esperti e di sistemi di arma occidentali “risparmiati” nel corso del 2023 e ora “spendibili” per dimostrare al Paese e agli alleati che l’esercito non sta a guardare e non pensa solo a non farsi logorare. I soldati e gli ufficiali lo sanno e temono che il nuovo “generalissimo”, in tandem col presidente Zelensky, possa decimare una parte delle truppe per obiettivi di valore più mediatico che militare, magari cominciando a imputare gli errori agli ufficiali sottoposti e a cambiare i comandi in modo frenetico proprio come fanno dal 2022 i russi. La memoria di alcuni veterani, sempre anonimi, va anche al modo in cui nel 2015, al momento del ritiro delle truppe asserragliate a Debaltseve, quando i separatisti tesero un agguato e uccisero alcune decine di soldati ucraini, Syrsky e altri ufficiali gestirono la salvezza dei loro uomini. Ma gli uomini, a volte, imparano dai loro errori: così, se Syrsky promette di proseguire sulla strada tracciata dal suo predecessore, perché non credergli?