Sul mensile diretto da Peter Gomez, in edicola da sabato 10 febbraio, il punto su ricostruzione e rimborsi per il disastro di maggio: su 60 mila danneggiati, poco più di duemila hanno presentato domanda d'indennizzo. Gli amministratori locali denunciano: "Procedure farraginose, così il governo spenderà meno". E l'Appennino è stato dimenticato, nonostante i proclami bucolici di Giorgia Meloni
Pochi giorni prima di Natale, a Lugo di Romagna, si sono riuniti una ventina di geometri. Obiettivo, decifrare due ordinanze del generale Francesco Paolo Figliuolo, commissario straordinario di governo per la ricostruzione e gli indennizzi per l’alluvione che a maggio ha colpito in particolare l’Emilia-Romagna. «Un rompicapo», si sfoga uno di loro, Mirko Cicognani, professionista di Faenza, su Fq MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez, in edicola da sabato 10 febbraio.
Il generale Figliuolo è dipinto dai media come un uomo della Provvidenza, e la politica gli dispensa incarichi delicati, a partire dalle vaccinazioni in pandemia. FQ MillenniuM è andato a verificare il suo operato sul campo. A gennaio 2024 – documenta l’inchiesta di Natascia Ronchetti – solo poco più di 2000 fra persone e aziende avevano caricato on line le domande di indennizzo, a fronte di 60 mila danneggiati. Colpa delle procedure farraginose: «Di questo passo il governo spenderà meno di quanto previsto, perché c’è un limite oltre il quale imprese e cittadini rischiano di scoraggiarsi», afferma Davide Baruffi, sottosegretario alla presidenza della Regione. Intanto, a Faenza 750 persone vivono ancora fuori dalle loro abitazioni, danneggiate da acqua e fango.
Va peggio sull’Appennino, racconta il reportage di Luca Martinelli con foto di Michele Lapini. Molte strade sono ancora interrotte dalle frane (l’alluvione ne ha provocate ben 66 mila). La ferrovia Faentina, collegamento fondamentale fra l’Appennino tosco-emiliano e la pianura, è ripartita a fine dicembre, ma ancora oggi i treni vengono fermati in caso di allerta meteo o rilevazione di smottamenti. La realtà è ben lontana da quello che la presidente del consiglio Giorgia Meloni proclama nel recente libro intervista con Alessandro Sallusti La versione di Giorgia: “Non salveremo una sola pianta né un solo animale selvatico se non mettiamo economicamente e socialmente al sicuro gli agricoltori, gli allevatori, i pastori, gli abitanti dei borghi, i piccoli imprenditori dell’economia rurale e turistica. Un governo conservatore ha il dovere di essere al loro fianco”.
Al di là dei giudizi sulla figura di Figliuolo e sul governo Meloni, ha ancora senso il modello del “commissario straordinario” per gestire la ripartenza dopo i disastri naturali? I dati suggeriscono di cambiare approccio, Nel 2023 in Italia ci sono stati 9 “eventi estremi” al giorno, calcola Coldiretti, fra “grandinate, trombe d’aria, bombe d’acqua, ondate di calore, freddo con gelate improvvise e tempeste di vento”, con relativi danni ai raccolti e impennata dei prezzi di frutta e ortaggi ai danni dei consumatori. Certo, non tutti hanno la portata dell’alluvione di maggio 2023, dove sono esondati all’unisono ben 23 fiumi. Ma il cambiamento climatico ci impone di prepararci, avverte Carlo Buontempo, il fisico italiano che guida il Copernicus Climate Change Service a Reading, nel Regno Unito, intervistato da Luisiana Gaita: “Non è vantaggioso, soprattutto economicamente, mettere una toppa quando ci sono inondazioni e frane”. Perché i dati danno un’indicazione univoca a livello globale: “Nei giorni più piovosi dell’anno, le precipitazioni diventano più intense”.
Il susseguirsi di eventi estremi, non solo in Italia, sta provocando un cambio di atteggiamento dei partiti di destra, anche in vista delle elezioni europee di giugno. Tra il 2004 e il 2019, su 792 interventi dei conservatori al Parlamento europeo, quelli che ammettevano la causa umana del riscaldamento globale sono aumentati dal 44 al 56%, quelli schiettamente negazionisti sono crollati dal 38 al 9%, racconta un’inchiesta internazionale di Michele Bertelli, Maria Elorza e Martin Vrba. La nuova strategia è quella di ritardare le norme sulla transizione ecologica, in nome delle ripercussioni economiche.
Si distingue la Russia, da dove le organizzazioni ambientaliste vengono cacciate come “indesiderabili”. È toccato per esempio a Wwf e Greenpeace, mentre gli attivisti dei Fridays For Future vengono perseguitati ed espulsi. Nel Paese di Putin, spiega un approfondimento di Yana Fortuna, trova consensi l’idea che tutto sommato se i ghiacci e il permafrost si sciolgono sarà più agevole trivellare la Siberia e l’Artico a caccia di materie prime preziose. E se New York e Londra finiranno sott’acqua, Mosca avrà tutto da guadagnarci.