La rivolta dei contadini ha dimensione e respiro europeo e si rivolge contro l’establishment di Bruxelles che fa esclusivamente gli interessi della finanza e delle grandi aziende e vorrebbe riversare su di loro, come in genere sui settori popolari, il costo della riconversione ecologica dell’economia che è necessaria e urgente.
È quindi del tutto comprensibile come, in Italia, la legittima collera degli agricoltori si diriga contro il governo Meloni e la sua corporazione burocratica di riferimento che è la Coldiretti che, nel fuoco della lotta sociale, rivela di possedere una ben scarsa rappresentatività.
Meloni, Lollobrigida & C. si sono infatti rivelati i proconsoli zelanti di von der Leyen e delle lobby che essa rappresenta. In quindici mesi e passa di “governo” il ministro cognato ha saputo partorire solo una serie di baggianate estreme, come quella, davvero memorabile, secondo la quale i poveri mangiano meglio dei ricchi. Di concreto nulla, se non i favoritismi esagerati nei confronti delle cricche legate alla Coldiretti, che a sua volta agevola in ogni modo la penetrazione del capitalismo nell’agricoltura fino ad appoggiare l’introduzione degli organismi geneticamente modificati, che segnano una nuova e forse irreversibile tappa del processo di espropriazione degli agricoltori, sempre più ridotti a mero terminale delle multinazionali dell’agroindustria e delle banche e società finanziarie.
È del resto noto come fin dal suo inizio la politica agricola europea (Pac) sia stata ispirata dalla finalità di garantire gli interessi degli agricoltori più ricchi, favorendo il processo di concentrazione della proprietà terriera. Nel corso dei decenni sono state dilapidate, con tale precisa finalità, somme enormi (tenendo conto del fatto che la spesa agricola rappresenta tuttora una delle principali voci di spesa europee), senza tuttavia tenere conto adeguatamente degli obiettivi di carattere sociale e ambientale che il settore primario deve perseguire.
Una sorta di protezionismo, poi attenuato per effetto della crescita dei vincoli alla liberalizzazione imposti dall’Organizzazione mondiale del commercio e dal reticolo di trattati bilaterali, che ha vieppiù accentuato, nel corso del tempo, le sue valenze discriminatorie nei confronti degli agricoltori meno ricchi da un lato e di tutte le produzioni mediterranee dall’altro. Un impianto fortemente lesivo dei veri interessi dell’agricoltura e dei contadini poveri in particolare, che è stato accettato da tutti i governi che si sono susseguiti negli ultimi 60 è più anni.
Quello di Giorgia Meloni, la cui sottovalutazione del tema appare confermata dal conferimento delle relative competenze allo sprovveduto cognato, non poteva certo fare eccezione, dato il suo bovino conformismo e l’ansia di accettare, per farsi riconoscere, ogni minuto dettaglio del sistema dominante.
Data la deplorevole assenza in Italia di un’opposizione degna di questo nome, in grado di recepire le istanze profonde degli agricoltori sacrificati sull’altare del capitalismo finanziario, la questione si è tradotta, nell’asfittico e banale contesto italico, in una faccenda di esenzioni fiscali revocate con conseguente scaricabarile delle responsabilità tra Fratelli d’Italia e Lega, entrambi in fregola pre-elettorale.
Ma può dubitarsi che questo dissidio intestino fra due diverse anime della destra riesca a disorientare la mobilitazione. Infatti Lollobrigida e i suoi vassalli della Coldiretti sono fortemente preoccupati e fanno ricorso a termini diffamatori, come le accuse di “teppismo” che celano abitualmente il riflesso autoritario suscitato in fascisti, postfascisti e parafascisti da lotte sociali colle quali, per ovvi motivi, non riescono a rapportarsi in modo costruttivo.
Ciò richiederebbe infatti da un lato il rovesciamento dei dogmi e dei meccanismi che da oltre sessant’anni presiedono alla Politica agricola comune, e dall’altro una forte critica delle classi dominanti che hanno ridotto l’agricoltura al rango mortificante di ancella asservita a finanza e agroindustria. Compito evidentemente troppo arduo per gli zelanti neofiti del neoliberismo in salsa meloniana che governano attualmente il nostro disgraziato Paese. Ma anche, a quanto pare, per i fantasmi della sedicente opposizione.
Ben vengano quindi iniziative come quella promossa da Usb, Associazione rurale italiana e Cooperativa coraggio, che incontreranno prossimamente a Roma, martedì 13 febbraio alle 18.30 in via Giolitti 131, i rappresentanti dell’importantissima organizzazione internazionale degli agricoltori Via Campesina.
La posta in gioco è infatti sia nazionale che globale. Potenziare l’intervento pubblico in materia, debilitato e umiliato dalle scriteriate privatizzazioni, e oggi ulteriormente minacciato dalla cosiddetta autonomia differenziata, appare costituire la condizione preliminare indispensabile per dare a tutti gli agricoltori il posto di rilievo che meritano, data la loro funzione fondamentale nella produzione di alimenti sani per tutti e nella tutela dell’ambiente.