“Non sono il tipo di persona”, metteva in chiaro Matteo Messina Denaro ricordando ai pm di non essere “interessato” a collaborare, ma apriva anche uno spiraglio: “Poi nella vita mai dire mai intendiamoci”. Sono le parole pronunciate il 7 luglio del 2023 dal boss di Cosa Nostra, a due mesi dalla sua morte, rispondendo al procuratore aggiunto di Palermo Paolo Guido che lo invitava a contribuire “a ricostruire dei pezzetti di verità”. Il verbale dell’interrogatorio è stato depositato all’udienza preliminare a carico dell’amante storica del boss, Laura Bonafede.

“Io non sono stato mai un assolutista nel senso che non è che perché dico una cosa sarà sempre quella, io nella mia vita ho cambiato tante volte idea, però con delle basi solide”, dice ‘u siccu. Messina Denaro ricorda ai pm di essere “alla fine della mia vita” ma, aggiunge, “il punto è io non sono il tipo di persona – e mi creda che è la verità, non me ne può fottere più niente – non sono il tipo di persona che vengo da lei e mi metto a parlare dell’omicidio, per rovinare a X, Y, non ha senso nel mio modo, mi spiego??”, dirà in un altro passaggio dell’interrogatorio. Gli spiragli si scontrano così subito con il muro del silenzio.

Il racconto di Matteo Messina Denaro torna anche a quel fatidico 16 gennaio 2023, giorno della fine della sua latitanza nei pressi della clinica palermitana dove era andato per sottoporsi a un ciclo di terapia. “Mi avete preso per il male sennò non mi prendevate. Con la mente ho ricostruito tutto come è stato il discorso, so che non c’è stato nessun traditore”, commenta il boss. “La mattina che mi hanno arrestato la prima cosa che uno pensa è che qualcuno ha tradito. È stato tradito Gesù Cristo”, aggiunge. Racconta anche di non essersi fidato del colonnello che gli assicurava che nessuno lo aveva tradito. “Poi ragionando ho detto: vero è. Ho letto le carte e mi sono fatto pure una logica“, aggiunge dal carcere de L’Aquila. Il boss ha anche precisato: “Mi avete preso per la malattia o per un errore mio, dirlo a mia sorella. Perché gliel’ho detto? Non volevo farmi trovare morto e nessuno in famiglia sapeva niente”. Messina Denaro fa riferimento all’appunto della sorella sulla sua malattia, trovato nel bracciolo di una sedia, che ha dato l’inizio alle indagini che portarono all’arresto.

E si definisce anche un “mafioso anomalo” senza nemici e “una garanzia per tutti”: “Sono, diciamo tra virgolette, un mafioso per come mi considerate voi, un poco anomalo, non mi sono inimicato nessuno nel territorio, intendo il mio paese. Chiunque mi vuole bene. Lei stamattina pensava di trovare un Rambo, invece non ha trovato niente”. Il suo tono era più dimesso del solito, affaticato, dolente. Il padrino era già molto malato e sapeva di avere i giorni contati. “Io sono sempre stato in quello che voi ritenete mafiosità una garanzia per tutti. Non ho mai rubato niente a nessuno. Parlo del mio ambiente, non ho mai cercato di prevaricare, né in ascese di potere, né per soldi”, spiega. Ai magistrati che gli chiedono da dove vengano i soldi trovati a casa della sorella Rosalia, poi arrestata, risponde: “Mi servivano per mantenermi. Il denaro trovato a mia sorella è sicuramente origine di mia madre perché erano soldi di famiglia, ovviamente se mia madre mi poteva aiutare mi aiutava”. “Lei pensa che io uscivo a fare rapine o chiedere estorsioni? – chiede ai magistrati – Non ho mai chiesto estorsioni a nessuno, non ho mai fatto traffici di droga, non ho mai fatto rapine. I soldi erano nella disponibilità della mia famiglia, mia madre ha sempre cercato di conservare e dare a tutti, specialmente a me”.

La sua vita? Una vita normale. A Palermo svolgeva una vita da “libero come a Campobello, perché bene o male voi avete scandagliato quella di Campobello, ma in genere sempre quella vita faccio, cioè lo stesso fac-simile”. “Le mie amicizie non è che iniziano e finiscono solo nel mondo che voi considerate mafioso, non è così, le mie amicizie erano dovunque“, aggiungeva Messina Denaro. Il capomafia ha anche raccontato di essersi fatto dei tatuaggi nel centro del capoluogo tra il 2006 e il 2009 e di essersi fatto curare periodicamente da un dentista. “Non ho mai distinto tra ricchi e poveri, – proseguiva – ovviamente se dovevo frequentare una persona povera non ci andavo col Rolex per una forma di educazione, se invece ero per i fatti miei con persone come me non avevo problemi, cioè non avevo quella forma di annacamento (vanto ndr), non volevo dimostrare niente”.

Torna anche a dire che ritiene “un poco riduttivo dire che a Falcone lo hanno ucciso per la sentenza del maxi processo. Se poi voi siete contenti di ciò, bene venga, sono fatti vostri, ma la base di partenza non è questa…”, insinuando verità ancora da scoprire sulla strage di Capaci. “Quello che sto dicendo è verità… ognuno poi, nella vita… tutti questi, chiamiamoli pentiti, che hanno detto… hanno detto, sì, qualche pezzo di verità, gli hanno fatto fare dei processi, va bene; ma ognuno ha portato acqua al suo mulino poi. Poi, se per portare acqua al suo mulino, dicono cose anche che possono coincidere con quello che cercate voi o con quello che interessa a voi, ben venga, giusto? “, continua. “Voi siete contentati che il giudice Falcone sia stato ucciso, perché ha fatto dare 11 ergastoli? Perché di 11/12 ergastoli si trattava, nel maxi processo, credo, ma credo che questi siano…”, insiste insinuando moventi complessi che poi, però, non spiega. Messina Denaro definisce l’attentato di Capaci come la “cosa più importante, quella da dove nasce tutto, le stragi, l’input”. E con fare accusatorio, alludendo al depistaggio delle indagini sull’attentato costato la vita al giudice Paolo Borsellino, prosegue: “Perché vi siete fermati a La Barbera, La Barbera era all’apice di qualcosa“, riferendosi all’ex poliziotto ritenuto la mente dell’inquinamento dell’inchiesta che ha portato alla condanna di innocenti. “Se fosse vivo ci sareste arrivati o vi sareste fermati un gradino prima?”, chiede ai pm.

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