Cinquemila tonnellate di rifiuti speciali sversate illecitamente nel torrente Valanidi, che hanno compromesso la “morfologia naturale del sito” causando “l’incremento della possibilità di esondazione in caso di eventi pluviometrici estremi, l’aumento del rischio igienico-sanitario, la deturpazione dell’area e danni agli habitat fluviali”. Quanto descritto da una perizia disposta dalla Dda di Reggio Calabria è l’aspetto più allarmante emerso dall’inchiesta – condotta dai Carabinieri – che sabato mattina ha portato all’arresto di un imprenditore e al sequestro di un’azienda edile, la “Crucitti Group srl”, che ha realizzato discariche a cielo aperto per un chilometro di torrente. Su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri e dell’aggiunto Stefano Musolino, la gip Angela Mennella ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari per l’imprenditore Bruno Crucitti, ritenuto “capo, direttore organizzativo ed esecutore materiale” di un’associazione finalizzata a commettere i reati di traffico illecito di rifiuti, disastro e inquinamento ambientale, attività di gestione di rifiuti non autorizzata e occupazione abusiva di suolo pubblico. Indagati, inoltre, i figli Francesco e Daniele Crucitti, rispettivamente amministratore unico e socio dell’impresa, che si avvaleva di due autisti: Edoardo Belfiore e Giovanni Salvatore Vittoriano. Anche loro sono stati denunciati dai carabinieri perché, per conto dell’azienda, in pieno giorno e per un centinaio di volte al mese, scaricavano sul letto dellla fiumara materiale inerte e relativi residui fangosi, scarti da cantieri edili e demolizione. Alcuni degli indagati – di età compresa tra i 35 e i 65 anni – hanno precedenti in materia ambientale ed associazione di tipo mafioso: si tratta dei titolari e dei dipendenti dell’impresa, a cui è stato sequestrato l’intero patrimonio, compresi conti correnti e quote sociali, autocarri, mezzi d’opera e autovetture di lusso.
Le indagini sono iniziate nel gennaio 2023 in seguito ad alcuni sopralluoghi effettuati dai Carabinieri della stazione di Rosario Valanidi, che hanno riscontrato lo sfruttamento delittuoso del torrente. Grazie a quegli accertamenti, gli investigatori sono riusciti a interrompere una serie di reati in corso, tra i più pericolosi per l’ambiente e l’incolumità pubblica. Per i pm, gli indagati hanno dimostrato una spiccata pericolosità e spregiudicatezza: in particolare, secondo l’accusa, dall’inchiesta è emersa l’esistenza di un sodalizio criminale dedito alla commissione di delitti in materia ambientale che avrebbero provocato un irreparabile pregiudizio per l’equilibrio dell’intera area. Stando alle indagini, la “Crucitti Group Srl” agiva alla luce del sole in assenza delle previste concessioni e autorizzazioni ambientali e anche tramite false attestazioni. In questo modo riceveva e trasportava abusivamente all’interno del proprio cantiere ingenti quantitativi di inerti, provenienti da attività edili di terzi soggetti, così da ottenere illeciti profitti, eludendo la prevista tracciabilità dell’origine, natura e destinazione dei rifiuti. Grazie alle false attestazioni, i camion dell’impresa sequestrata scaricavano di tutto: in totale, appunto, si tratta di cinquemila tonnellate di rifiuti speciali, divisi in numerose discariche realizzate a cielo aperto per circa un chilometro nell’alveo del torrente Valanidi, ritenuto bene demaniale sottoposto a tutela paesaggistica. Non solo: in maniera del tutto indiscriminata, con i propri escavatori, la ditta avrebbe sottratto pietrisco dalla base naturale del torrente per riutilizzarlo nelle proprie lavorazioni.
Il risultato, per la Procura antimafia, è un disastro ambientale che ha causato l’alterazione della normale conformazione del torrente Valanidi, certificato come corridoio ecologico tra due habitat naturali protetti. In una nota, i Carabinieri spiegano che gli sversamenti illegali hanno creato insidiose barriere artificiali originate dalla stratificazione e compattazione dei materiali smaltiti, cagionando in tal modo “un forte pregiudizio al naturale decorso delle acque. Tale accumulo risultava essere un importante e pericoloso amplificatore del pericolo esondazione in zona già classificata a rischio sotto il profilo dell’assetto idrogeologico con ipotizzabili effetti devastanti per gli 83 nuclei familiari residenti nelle adiacenze”. Anche nell’ordinanza la gip Mennella sottolinea: “L’ammasso di materiale inerte che veniva rinvenuto risultava essere un pericoloso amplificatore di rischi di esondazione in caso di precipitazioni copiose, sempre più frequenti e prevedibili a causa del surriscaldamento globale”. Secondo la perizia, “le operazioni non autorizzate sui rifiuti hanno determinato una serie di rischi sull’ecosistema”. Per il consulente tecnico incaricato dalla Procura, “sono 742 abitanti quelli che potrebbero essere potenzialmente colpiti dall’esondazione. Sarebbero 57 gli edifici investiti dal flusso delle acque alluvionali e le aziende potenzialmente allagate”. Un rischio che per la gip “è diretta conseguenza dell’abusivo ed illecito intervento degli indagati”. La stessa zona, peraltro, gìà settant’anni fa – il 22 ottobre 1953 – è stata colpita da una disastrosa esondazione del Valanidi, che ha provocato la morte di 44 persone.