Schiene di grigio scuro vestite si susseguono sulla scalinata del sagrato con rapida ombrosità. Ombrelli neri e larghi aperti sulle teste coronate bagnate scorrono in lugubre fretta. Piove sul Duomo di Torino nel giorno dei funerali di Vittorio Emanuele di Savoia. Proprio come per le esequie di Umberto II nel 1983, ricordano i bene informati di Casa Savoia. Anche se a prima vista ciò che manca è la vicinanza fisica con chicchessia. Pochissime e disinteressate le persone comuni tenute a ragionevole distanza dalla chiesa dove vengono celebrati funerali del primo Savoia che non fu mai re. Circa 400 invece gli invitati, regolarmente giunti nel Duomo torinese attorno alle 15.
I capi di Stato Alberto di Monaco e Henri di Lussemburgo; la regina Sofia, moglie del re Juan Carlos di Spagna e una caterva di principi che a metterli in fila ci vorrebbe un giorno intero. Tra questi Astrid e Lorenz del Belgio, Carlo e Camilla di Borbone delle Due Sicilie, il principe Jean Christophe Bonaparte, discendente quasi diretto di Napoleone, per i profani come fosse una sorta di Napoleone VII. Tra i 400 non solo principi ma anche privati cittadini (Giorgetto Giugiaro), diversi politici di centro-destra (il presidente del Consiglio regionale del Piemonte, il leghista Stefano Allasia; l’europarlamentare sempre Lega, Gianna Gancia; il senatore di Forza Italia, Roberto Rossi e un ex fazzoletto verde come Mario Borghezio) e parecchi sindaci di comuni piemontesi e lombardi.
Invece per la partita tutta interna a casa Savoia è stata la presenza distesa e solenne del principe Aimone, forse l’unico con uno spolverino blu, figlio del defunto Duca D’Aosta, quindi ad oggi possibile discendente reale in una lotta sabauda tutta invisibile con Emanuele Filiberto. La famiglia di Vittorio Emanuele era ovviamente presente al completo e ha anzi chiuso il corteo all’entrata del Duomo. Prima con l’arrivo della vedova Marina Doria nascosta dietro ampi occhiali scuri, poi la moglie del principe delle Venezie, Clotilde Courau e le figlie Vittoria e Luisa, la sorella maggiore del principe, Maria Pia, e dei suoi figli, infine dal figlio Emanuele Filiberto con il viso tirato dell’intimo dolore. “Altezze reali, maestà, altezze imperiali, eccellenze”, ha salutato i convenuti monsignor Paolo De Nicolò, priore degli ordini dinastici che ha officiato le esequie. La bara di Vittorio Emanuele di Savoia è entrata nel Duomo avvolta in una bandiera della monarchia italiana – il tricolore con al centro la corona dei Savoia – e appena dentro la navata centrale è stata ricoperta da un ampio stendardo rosso con croce bianca simbolo del casato.
Feretro poi posato in basso davanti all’altare e ai lati di quest’ultimo sulla destra sono stati sistemati i parenti stretti del defunto e sulla sinistra, di fronte a loro, gli invitati di più alto rango reale. Una cerimonia lunga, contrappuntata da molti canti eseguiti dal coro Francesco Venerio (l’inno Sardo, il Sanctus agnus dei di Perosi, l’Ave verum di Mozart e diversi canti gregoriani), sovrastata dalla Sacra Sindone che ha vigilato per tutto il tempo su principi e meno principi. “Un dono concesso dai Savoia”, ha sottolineato con fierezza monsignor De Nicolò ricordando i sacri legami tra Savoia e Chiesa Cattolica. Tanti, e terribili, i flash e i click degli smartphone dentro la chiesa. Nessun intervento civile oltre a quelli dei religiosi officianti. La bara di Vittorio Emanuele di Savoia è stata di nuovo svestita dallo stendardo rosso ed è uscita oltre il portale di nuovo avvolta nella bandiera monarchica con cui simbolicamente verrà cremata e le sue ceneri inumate nella basilica di Superga.