“Purtroppo la Sanità, forse, in Italia è così”, sospira Matteo Messina Denaro, mentre ai magistrati della procura di Palermo spiega tutto il suo percorso da malato oncologico nella sanità pubblica. Lo fa durante l’interrogatorio del 7 luglio scorso, il cui verbale è stato depositato il 9 febbraio all’udienza preliminare a carico di Laura Bonafede, considerata la sua amante per anni. Il boss racconta alcuni dei passaggi con chirurghi, oncologi, dentisti. Messina Denaro, infatti, durante la latitanza sostiene di essersi curato i denti presso uno studio di via Belgio a Palermo per circa 12 anni. Sempre nel capoluogo siciliano, e sempre nello stesso studio, ha fatto tre tatuaggi tra il 2006 e il 2009. “Ho vissuto in tanti posti”, dice ai magistrati, ma dall’interrogatorio pare chiaro che per molto tempo è stato a Palermo, dove con tutta probabilità aveva un covo. Anche perché di rifugi ce ne “erano altri che non avete trovato”, dice ai magistrati. Che a un certo punto sembra pure voler provocare: “Finendo di cercare me… Fatemi capire, che fate ora?”.
L’interrogatorio – Ad interrogarlo ad inizio luglio, poco più di due mesi prima della sua morte, ci sono il procuratore aggiunto, Paolo Guido, e i sostituti Pierangelo Padova e Gianluca De Leo. L’ex Primula rossa di Castelvetrano è sofferente, ha preso della morfina per calmare i dolori e ha addosso alcuni cerotti antidolorifici ma durante l’interrogatorio i farmaci iniziano a fare effetto e le sue condizioni migliorano. “Se venivate ieri, no”, stava troppo male, ma quel giorno riesce a parlare. È così che menziona “raccomandazioni”, o meglio, si corregge, “indicazioni” di medici ricevute per fare curare altri e se stesso, usando documenti falsi ottenuti tutti “da Roma”, perché “tutti sanno” che a Roma c’è un centro.
Le cure e il tumore – “Senta, ma quando lei ha iniziato, ha fatto i primi accertamenti ed ha scoperto, insomma, che aveva… si è rivolto a qualcuno, diciamo, come… ce lo spiega il suo percorso: lei che cosa ha fatto? La prima… ha avuto dei malori?”, chiede il pubblico ministero De Leo.“Si è bloccata la digestione”, risponde Messina Denaro. E continua: “Sono andato da un medico, ho fatto una colonscopia, cioè io ho avuto un blocco… intestinale, però ancora non lo sapevo, perché non è che avessi mai avuto un blocco intestinale, uno conosce una situazione quando poi…”. “E qualcuno le ha detto di fare la colonscopia?”, chiede ancora De Leo “No, no, a questo ci arrivavo… eheh… ci arrivavo io che bisognava fare una colonscopia ed ho fatto una colonscopia. Da questa colonscopia si è subito capito, immediatamente, perché l’esito te lo danno seduta stante, che c’era questo tumore”. È a questo punto che Guido chiede dove ha fatto la colonscopia e la risposta del boss è guardinga: “Se lo sapete, allora va bene; se non lo sapete, non lo dico”. “Perché non lo deve dire, cioè perché sapevano che era lei?”, lo incalza Guido. “No, no, completamente, perché non mi va, non mi va di farmi schifare dalle persone, anche se non sapevano che fossi io: dire questo significa rovinarli. Perché vede, per voi, quando arrivate voi, è normale, fate il vostro mestiere, giusto? La vostra professione; la gente comune, appena si vede tutto controllato, dal conto in banca a dove ho mangiato ieri sera la pizza…”. Per questo poi spiega ai magistrati come aveva scelto di andare da un medico a Mazara del Vallo: “Io, sapevo di mio che c’era un medico bravo a Mazara, perché lo sapevo di mio? Questo ve lo posso dire. Sapevo, tramite un mio cugino, che era primario di Ortopedia dell’ospedale di Mazara, che c’era questo medico molto molto bravo, che si chiamava Urso o D’Urso, non mi ricordo, credo Giacomo (Giacomo Urso, ndr), lo avevo saputo tramite mio cugino Salvatore Messina Denaro. Me l’ha detto 7/8 anni fa, perché io c’ero andato a cercarlo, per un altro motivo e non per me, tra parentesi. Per un’altra persona, un uomo”. “Ha fatto riferimento a raccomandazioni. Mi è parso di capire che potesse essere una cosa non episodica, cioè che sia successa più di una volta?”, chiede a questo punto il pm Padova. “No, da quando sono nato”, risponde il boss. “Ecco, quindi lei era in condizione di farlo, evidentemente, era, aveva il canale giusto, aveva…”, insiste Padova. “Non è lei… se voi avete sempre indagato, nella vostra vita, il mondo che presupponete essere mafioso, mafiosità, lo sapete anche meglio di me che, se non si gestiscono certe cose in questo modo, a lei chi lo conosce? È normale. Se io oggi faccio un favore a lei, è normale che domani lei può aiutare me con un favore”, risponde Messina Denaro, che però poi incalzato ancora dai magistrati chiarisce: “No, io non l’ho raccomandato, è diverso: io ho detto, parlando con… “Mi serve…”…No, no, io l’ho detto all’amico mio… “Rivolgiti a Urso” e quello si è presentato a nome di chi? Di nessuno, si è presentato in ospedale, però che voleva essere gestito, nella malattia…”.
L’operazione – Ma Urso non sapeva nulla dell’identità del boss, l’uomo raccomandato da Messina Denaro si era soltanto presentato in ospedale con l’indicazione sul bravo chirurgo. Quindi quando poi anni dopo è lo stesso boss a stare male per lo stesso motivo, sa già a chi rivolgersi. Questo è in sostanza quello che ha raccontato Messina Denaro: “Già sapevo che Urso era bravo, tramite mio cugino”. E “come lo ha contattato, come c’è arrivato?”, chiede De Leo: “Ci sono andato. Direttamente? Sì, direttamente; che io ricordi si, perché poi là fu un periodo un poco…”. Ma De Leo insiste: “Quindi – scusi se la interrompo – lei da Urso va in ospedale, dritto così? Ci va con una ricetta, con un’impegnativa: come ci va? Non è che in ospedale si va così: è andato al Pronto Soccorso forse?”. “No, io ci vado senza niente…”, risponde il boss delle stragi. “Senza niente?”, chiede ancora il pm di Palermo. E il boss: “Senza niente”. Poi, ancora incalzato dai pm, continua: “Io ci vado; creo un appuntamento io, telefonicamente, in ospedale e mi faccio dare l’appuntamento. Quando vado all’appuntamento, lui capisce la situazione, giustamente… E lui, da subito, si mise al computer e mi aprì una scheda…”. “Quindi lei va direttamente da Urso? Si presenta una mattina nella sua stanza, giusto: ho capito bene?”, insiste De Leo. “Era forse mezzogiorno, tarda mattinata…”, risponde il boss – “Dico, va direttamente, bussa e…”, va vanti il pm. E così continua il botta e risposta tra De Leo e Messina Denaro: “Non busso, gli telefono, credo” – “Gli telefona?” – “Credo di sì, non busso, gli..” – “Ed il numero come lo ha trovato?”, chiede ancora De Leo – “Va beh, lo sapevo come si chiamava questo, il Primario di Chirurgia dell’ospedale, sapevo che si chiamava Urso, me lo aveva detto mio cugino” – “In ospedale: ha chiamato là?”, incalza il pm. “No, non lo so se era ospedale, era comunque… ma penso di si, all’ospedale, nel suo ufficio, non lo so, comunque…”. Dopo l’intervento l’ex latitante deve attraversare una degenza di 10-15 giorni, in ospedale, solo, in stanza con un 80enne, ma senza nessuno che faccia visite perché il Covid – è novembre del 2021 – impone regole rigide, che salvaguardano l’identità del boss. Dopo l’operazione a Mazara del Vallo, i medici lo inseriscono in un percorso di cure da continuare a Trapani, ma lui lì non ci può andare. “Il tempo di organizzare questa situazione, ci sono andato o una o due volte, un certo dottore o professore Zerilli o Ferilli (Zerilli, ndr) e non ci sono andato più, perché ho scoperto che ci lavora la figlia di mio fratello”. Per questo il latitante lascia Trapani per farsi curare a La Maddalena, la clinica di Palermo dove è poi stato arrestato il 16 gennaio del 2023.
La cura dei denti- Negli anni precedenti però, a Palermo ci andava comunque per altri motivi. Da latitane aveva avuto bisogno di un dentista e sempre seguendo “indicazioni”, ha trovato “uno bravo”: “Sono stato più volte da un dentista in via Belgio… Io ho scelto questo, perché sapevo che c’era un certo Giovanni Abate, che era molto bravo, che aveva lo studio lì, me l’avevano detto, sa, la vulgata, passaparola, dice: “C’è questo…”. Dopo la morte di Abate, però, Messina Denaro torna nello stesso studio: “Allora posso restare? Sa, dice, certo, aspetti che glielo chiamo”. Mi chiama questo dottore Emanuele, me lo presentò questa segretaria; e da allora sono andato da Emanuele”. Ma ce n’erano anche altri: “Quando ci andavo, vedevo altri dentisti, quindi era un mondo più largo, solo che infatti io là potevo andare, credo, il mercoledì ed il lunedì, non era tutti i giorni, perché in altri giorni c’erano altri medici”. Il lunedì ed il mercoledì, con regolarità, per circa 12 anni, il boss si è fatto curare i denti a Palermo, dunque. Mentre riceveva documenti falsi da Roma: “A Roma c’è una strada che vanno tutti, in tutta Italia, a parte essere (incom.) vanno tutti, perché sono gli stessi che forniscono a tutti, mi spiego?”. “Ma anche in tempi recenti c’è andato?”, chiede a questo punto Guido. E il boss si corregge: “Non è che ho detto che vado, sono andato a Roma: tutti i miei documenti, tutti, vengono da Roma”. Mentre lo dice con sicurezza che lui con il furto delle carte d’Identità al comune di Trapani, non c’entra nulla: “Sul giornale che mi volevano accollare quel furto a Trapani. C’è stato un furto di documenti a Trapani, non so… pensavano che ero io, che erano i miei documenti: no, non vengono da là i miei documenti, no, nella maniera più assoluta”.
I tatuaggi – Intanto, sempre a Palermo, tra il 2006 e il 2009, si era fatto tre tatuaggi in via Rosolino Pilo. Il primo è una data: “8-10 1981”, ma il boss non rivela il significato di quel tatuaggio. L’altro è una frase: “Ad augusta per angusta” (alle cose eccelse, attraverso le difficoltà, ndr). E un terzo nel braccio, tutti fatti in “epoche diverse, perché ogni cosa deve avere poi un momento in cui lei crede in qualcosa…”. E tutti fatti nello stesso posto 17 anni prima di essere catturato sempre nel capoluogo, quando il 16 gennaio del 2023 è finita la sua latitanza. E lui provoca i magistrati: “Finendo di cercare me… Fatemi capire, che fate ora?”.