Era da poco passata la mezzanotte di questa quarta serata piena di brividi, com’è sempre quella delle cover, quando, per usare un c vecchio modo dire, la montagna ha partorito il topolino.
Giorni ad annunciare sfracelli, trattori che assediano l’Ariston, mucche in corso Matteotti, letame sparso sul festival e poi… e poi ( no, Giorgia non c’entra). E poi un signore consegna ad Amadeus, che finge (un po’ male questa volta) la sorpresa, un comunicato, che più democristiano non si può, in cui i famosi agricoltori rivendicano il diritto di lavorare nel migliore dei modi. E chi può non essere d’accordo? E così è finita lì, in un attimo fuggente e non certo indimenticabile.
Come è giusto che sia, perché le proteste che in passato si sono inserite clamorosamente nel festival (ricordate gli operai dell’Italsider?) lo hanno fatto per denunciare la scarsa considerazione che i media riservavano loro, per sensibilizzare un’opinione pubblica che nulla sapeva di quei problemi. Ma gli agricoltori che bisogno hanno del festival, quando da giorni le loro rivendicazioni sono nelle prime pagine dei quotidiani e nelle aperture dei telegiornali? Non hanno certo diritto a una maggiore visibilità, vista quella che hanno in abbondanza.
Tutto insomma si è esaurito senza grandi emozioni e senza grande passione, come una faccenda che con il festival non c’entrava nulla. Sanremo è Sanremo non è mica Bruxelles.
La passione vera invece l’ha mostrata Dargen D’Amico che, dopo gli equivoci delle serate scorse, ha voluto tornare sul tema “del voltarsi dall’altra parte” e vedere i bambini che devono subire amputazioni senza anestesia. Senza dire dove, ma lo sappiamo tutti, ha sfidato una platea che non è parsa molto convinta dell’appello, rivelando un bel coraggio. Lo stesso che gli è servito per trasformare la sua travolgente canzone dell’anno scorso in una pensosa cantilena.
Dimenticavo: Amadeus e Lorella Cuccarini hanno dedicato un po’ di spazio al mitico Grease che hanno portato sui palcoscenici italiani, come io ho proponevo ieri in questo blog. Non credo proprio di avere influenzato la loro scelta, ma va bene lo stesso.