di Valerio Pocar
Viviamo in un’epoca nella quale la comunicazione e la narrazione sembrano contare più della realtà, ma non significa che i fatti non esistano. Invadere la testa dei consumatori istillando l’idea che la felicità stia in un biscotto non significa che, magari infelici, non si debba mangiare anche qualcos’altro.
Da sempre, il potere ha costruito la sua immagine sulle fandonie. Ci sembra che questo governo stia coltivando questa pratica in modo particolarmente assiduo. I più anziani ricorderanno il titolo di un film, credo modestissimo, di diversi decenni fa che suggeriva che un militare non dovrebbe arrendersi mai, neppure di fronte all’evidenza, la quale, con una certa sfrontatezza, deve essere semplicemente negata.
Insomma, pare proprio che il rispetto – vuoi della verità, vuoi soprattutto di coloro ai quali ci si rivolge – sia considerato irrilevante: basta parlare con sicumera, senza arrossire, come pur si dovrebbe. In buona sostanza, questo governo mostra di condividere l’opinione (non nuova, peraltro, che taluno già espresse nell’endiadi “bastone e carota”) che il popolo sia bue, assunto che sta alla base della sua idea di democrazia. Purtroppo, gran parte dei mezzi d’informazione, peraltro seguiti da una minoranza, ha rinunciato a fare informazione e la larga maggioranza della popolazione ha rinunciato a informarsi e a ragionare sui fatti sicché mentire è agevole, sia dicendo cose false sia tacendo cose vere, magari parlando d’altro.
Che un qualsiasi governo, rispetto alle scelte che adotta, vuoi condivisibili vuoi sciagurate, cerchi di giustificarle tacendone gli aspetti negativi e magnificandone altri, positivi o negativi che siano, è fenomeno che non sorprende. Sorvoliamo, dunque, sulle numerosissime scelte di questo governo che ci sembrano sciagurate, dalla benevolenza verso gli evasori fiscali alla flat tax, dalle politiche sull’immigrazione, dai balneari ai tassisti, alle poco motivate strette repressive e via dicendo. L’elenco
è assai lungo e non si sa da che parte cominciare e tanto meno, purtroppo, dove finire.
Il trucco delle bugie funziona per varie ragioni, non solo perché ogni scelta governativa, anche se sciagurata, assicura qualche privilegio a questo o a quello, ma soprattutto perché quella che si autodefinisce (ancora una bugia) maggioranza si rivolge solo alla minoranza che la sostiene, giacché due quinti degli elettori, delusi dalla politica, né li ascoltano né se ne occupano, cioè si fanno gli affari loro, convinti che la “politica” (che cosa sarebbe, esattamente?) non faccia appunto i loro interessi, come in effetti non fa.
Ciò non vuol dire che tra le bugie e i fatti non ci sia, insormontabile, qualche differenza oggettiva. Fermiamoci solo un attimo sui grandi progetti della triplice governativa. La riforma costituzionale del premierato interessa un’unica persona, la quale mente dicendo che la riforma stessa non altererebbe per nulla l’assetto istituzionale, ma garantirebbe la stabilità del governo, fingendo di non sapere che fino a una certa “discesa in campo” i governi erano assolutamente stabili, anche se il presidente del consiglio cambiava assai di frequente. Un’altra forza di governo plaude alla “autonomia differenziata” e, riprendendo una poco credibile istanza di decenni or sono, asserisce ch’essa porterebbe solo benefici e a tutte le ragioni, salvo dimenticare che un partito che si è rivolto, non senza successo, al Paese intero ritornerebbe a rivolgersi a una minoranza geografica privilegiata (meglio primi a Venezia o a Bologna che secondi a Roma). Un’altra forza di governo insiste prioritariamente sulla riforma dell’amministrazione della giustizia, in nome di un preteso garantismo, trascurando il fatto che la ragione di questa battaglia è deceduta diversi mesi or sono (la fisica descrive la legge d’inerzia). Queste riforme dovrebbero costituire la “madre” di tutte le altre: prepariamoci al peggio.
Mentre da un lato ci si vanta di successi, veri o immaginari, dall’altro si sorvola sui veri problemi che gravano su questo Paese. Ci si vanta della crescita dell’occupazione – non di quella giovanile però – ma si trascura di descrivere la qualità dell’occupazione stessa e quale ne sia il motore (per esempio, il cosiddetto effetto-Fornero, ossia la stretta sulle pensioni) e si sorvola sugli incidenti e le morti sul lavoro che si perpetuano. Si negano i tagli alla sanità pubblica, ma ci guarda di dire quanto l’inflazione abbia ridotto i finanziamenti effettivi di un servizio che sta andando a rotoli. L’istruzione, poi, è un tasto che è meglio non toccare.
La qualità della vita di grande parte dei cittadini ne risulta compromessa, ma si asserisce che l’economia italiana va a gonfie vele. Per una minoranza dei cittadini sarà anche vero, ma che dire dei salari e delle pensioni che non recuperano l’aumento del costo della vita? Del fatto che più di un milione di lavoratori risultano sottopagati? Della povertà che va crescendo e tocca milioni di famiglie che si trovano in difficoltà, quando addirittura non debbono confidare nella carità pubblica e privata? Del debito pubblico che continua a crescere? Delle diseguaglianze che non solo non diminuiscono, ma si consolidano, per cui il cinque per cento delle famiglie detiene la metà della ricchezza? Del favore verso gli evasori, per mezzo di una pletora di provvedimenti, mentre si continua a tartassare i redditi fissi? Della vendita o svendita di quote delle partecipate, giusto per fare cassa? Dei giovani ingegni che a decine di migliaia fuggono all’estero per trovare un lavoro soddisfacente e una giusta remunerazione? Potremmo continuare ancora per un pezzo, ma fermiamoci qui, per carità di “patria”.
In conclusione, non si vive di solo pane, è vero, ma se dobbiamo stringere la cinghia almeno vorremmo evitare di nutrirci del companatico delle bugie. L’asino, utile, paziente e bastonato (Podrecca), non si ribella, perché imbonito o indifferente: vede il disagio come unicamente suo e si rassegna. Chissà se il mite asinello, un bel giorno, non si deciderà a usare le zampe posteriori per calciare, magari poi ragliando soddisfatto?
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