A poche settimane dai cinquant’anni dal 25 aprile 1974, giorno in cui la Rivoluzione dei Garofani fece cadere la dittatura autoritaria di Antonio Salazar, il Portogallo rischia di ritrovarsi con un governo di centrodestra. E soprattutto di fare i conti con l’exploit di Chega, il partito populista che il sociologo Antonio Barreto, in un editoriale sul quotidiano O Pùblico, definisce “nazionalista, conservatore, con venature di estrema destra e un’infarinatura di xenofobia”. Il 10 marzo si svolgeranno le elezioni anticipate, dopo la caduta del governo socialista di Antonio Costa, travolto da un’indagine per corruzione. Lo scenario è dominato dall’incertezza, ma alcuni elementi emergono in modo evidente: il protagonismo di Chega, la tendenza verso l’affermazione di una coalizione e non di un singolo partito, l’incognita del voto femminile che potrebbe risultare decisivo.
Anche in Portogallo si osserva un contrasto tra le questioni più sentite dalla popolazione e quelle dibattute in tv. Il 72% dei cittadini ha a cuore il servizio sanitario nazionale, il 48% la scuola e il sistema educativo nel suo complesso, il 20% la casa, in un Paese dove, negli ultimi dieci anni, i prezzi degli immobili e degli affitti si sono impennati. Solo l’8% è interessato ai temi della giustizia, appena il 7% a povertà ed economia: una sorpresa, considerato che il livello degli stipendi resta basso rispetto al costo della vita. Le principali forze politiche, i socialisti di Pedro Nuno Santos (progressisti) e i socialdemocratici di Luís Montenegro (conservatori), si rinfacciano errori e impegni mancati: così a vincere a mani basse la partita della comunicazione è Chega (in italiano “Basta”), partito fondato nel 2019 dall’ex socialdemocratico André Ventura, che alle elezioni del 2022 ha già ottenuto 7,18% dei voti. Lo slogan è “Limpar o Portugal“, “ripulire il Portogallo”, i riferimenti ideologici sono espressi con chiarezza: “Chega fonda la propria esistenza sull’autoresponsabilità, presupponendo che gli inevitabili oneri imposti alla condizione umana debbano essere rimessi all’interno di ogni soggetto individuale o collettivo, alla sua coscienza e condotta personale. Chega è un partito politico esclusivamente di destra per ragioni morali e, per gli stessi motivi, rifiuta ogni connotazione con qualsiasi spettro politico estremista e fondamentalista. Chega è conservatore, riformista, liberale e nazionalista”. Tradotto: basta al socialismo, alle politiche degli ultimi anni, al sistema fiscale, alla corruzione, ai privilegi, all’insicurezza. Un “basta” collettivo, senza però spiegare in modo chiaro quali siano le strategie per fare “limpeza”, “pulizia”.
L’incognita-Chega influenza tutti gli schieramenti, ma in modo più pressante il centrodestra: per adesso Ventura rifiuta un’intesa, ma le cose potrebbero cambiare se l’Alleanza Democratica, la coalizione conservatrice composta dai socialdemocratici, dai democratici cristiani e dai popolari monarchici, non dovesse ottenere la maggioranza per governare da sola. In questo senso, un sondaggio condotto dall’Università Cattolica ha evidenziato il seguente scenario. Alla domanda “quale sarebbe il miglior risultato per il Paese dopo le prossime elezioni”, il 31% dei portoghesi ha risposto che preferisce un governo di coalizione composto da Alleanza Democratica e altri partiti di destra. Il 23% è a favore di un esecutivo formato da socialisti e Bloco de Esquerda, la sinistra radicale. Solo l’11% è a favore di una maggioranza assoluta rappresentata dai socialdemocratici e l’8% di una maggioranza assoluta socialista. Il 16% gradirebbe un patto tra Alleanza Democratica e Chega, ma almeno nelle dichiarazioni dei rispettivi leader questa ipotesi viene per ora rifiutata. Un altro sondaggio, sul gradimento dei leader due partiti più importanti, indica che i portoghersi preferiscono Luís Montenegro: il leader dei socialdemocratici è ritenuto più competente del segretario socialista Pedro Nuno Santos (41% contro 33%), più onesto (41%-28%), più preparato ad affrontare il tema della crescita economica (45%-33%), più attendibile nella difesa degli interessi dello Stato (42%-36%), nella gestione di sanità pubblica e scuola (42%-31%) e nella lotta alla povertà (37%-36%). Nuno Santos ha prevalso di misura (39%-38%) solo quando si è chiesto agli intervistati chi, tra i due leader, sia più pronto a diventare premier: a differenza del rivale, infatti, il segretario socialista ha già avuto incarichi di governo.
L’ultimo mese di campagna elettorale sarà decisivo e gli indecisi potranno spostare gli equilibri. È qui che emerge l’elettorato femminile: è il più combattuto, il più diffidente, il più deluso. L’altro elemento che sta venendo alla luce è la differenza di orientamento tra giovani e anziani. I primi sembrano più orientati a destra, i secondi, grazie anche alle politiche pensionistiche di Antònio Costa, sono schierati con i socialisti. Cinquant’anni dopo la Rivoluzione dei garofani emerge quindi l’immagine di un Paese diviso, incerto sulla strada da intraprendere, che rischia di dover fare i conti con l’ascesa del populismo di Chega. Sulle responsabilità di questo stato di cose, l’analisi del sociologo Barreto è impietosa: “Tutti i partiti, senza alcuna eccezione, hanno dato un prezioso contributo alla sua crescita. In pochi anni è diventato il terzo schieramento portoghese. Lo spazio che occupa sui social, nell’opinione pubblica e nel dibattito parlamentare rende Chega un fenomeno. Per molti, una minaccia. Per alcuni, un pericolo imminente. Per tutti, uno spettro. Fame, scioperi, lavoro clandestino, crimine, droga, povertà, violenza, miseria nelle periferie, file di attesa negli ospedali, salari bassi, corruzione, nepotismo, favoritismo famigliare: nulla sfugge a Chega”. Il Portogallo, peraltro, non ha problemi seri di immigrazione clandestina; è uno dei paesi più sicuri d’Europa, non c’è un allarme-razzismo come in Italia o Francia; nell’opinione pubblica c’è equilibrio rispetto alle guerre in corso in Ucraina e Gaza. Ma le questioni interne bastano e avanzano per alimentare il vento del populismo.