Marco Magnani, economista Luiss Roma e Università Cattolica Milano, manda in libreria Il Grande Scollamento. Timori e speranze dopo gli eccessi della globalizzazione (Bocconi University Press). Il libro ricostruisce storia e tappe dei processi di globalizzazione che si sono sovrapposti nel corso dei secoli ed è una riflessione sullo stato attuale dei rapporti internazionali e sul modo in cui potrebbero evolvere in un prossimo futuro.
Professor Magnani, alla fine del 2001 la Cina entra nell’Organizzazione mondiale del commercio. Segue un ventennio di intensificazione delle relazione commerciali internazionali e di relatività, per qualcuno molto relativa, stabilità. Cosa sta accadendo ora?
L’epoca di quella che potremmo definire la pax americana è al tramonto e siamo entrati in una fase nuova. Il mondo è più diviso di prima e i diversi blocchi sono come placche tettoniche che a volte si allontanano, a volte si avvicinano e altre volte si scontrano. Ci sono sempre più battitori liberi che agiscono ispirati dal pragmatismo e si organizzano cone alleanze a geometria variabile. Penso soprattutto a paesi come India, Brasile o Turchia ma non solo. L’India è uno dei casi più esemplificativi, è alleata con gli Usa e formalmente ancora in guerra con la Cina. Però fa anche parte dei Brics, con la stessa Cina e in parziale contrapposizione con gli Stati Uniti. Nei Brics dovrebbe entrare a breve anche l’Arabia Saudita ed è già entrato l’Iran. Sebbene tra i due paesi ci sia stato di recente un riavvicinamento sotto la regia cinese, rimangono le due potenze contrapposte del Medio Oriente, una sciita e l’altra sunnita. Ci troviamo in una situazione che presenta molti rischi e incognite. Questa frammentazione si traduce altresì in un depotenziamento e in una crisi delle organizzazioni di cooperazione internazionale come l’Onu, l’Oms o il Wto. Lo vediamo anche con la guerra in Ucraina e a Gaza, dove il ruolo svolto da questi soggetti risulta assolutamente marginale. Un mondo più frammentato è un mondo più pericoloso ed il mio grande timore è che questa condizione possa evolvere in un caos generalizzato con costi sociali ed economici potenzialmente enormi.
Ci sono già ricadute economiche e commerciali di questa evoluzione geopolitica?
Non si può ancora parlare di un’inversione di tendenza. I commerci internazionali non arretrano come non lo fanno i flussi di investimenti transfrontalieri. Tuttavia si assiste ad un significativo rallentamento di tutte quelle dinamiche economiche proprie della globalizzazione. Siamo entrati in quella che il settimanale Economist ha definito “Slowbalization”, la globalizzazione lenta. Per quanto concerne nello specifico i commerci, abbiamo assistito a due momenti di crollo, nel 2008 e 2020, che sono però facilmente spiegabili con la grande crisi finanziaria e con il Covid. Più significativo è guardare a quanto è accaduto nel decennio che intercorre tra queste due date. E lì il rallentamento è evidente.
Lei però nel suo libro parla anche degli eccessi della globalizzazione. Questa fase di rallentamento non potrebbe essere l’occasione per ripensare certe dinamiche e impostarle su basi di maggiore sostenibilità?
Capisco il punto ma è bene tenere presente che gli eccessi di cui parlo non sono legati all’intensificarsi dei commerci quanto piuttosto alla distribuzione della ricchezza che la globalizzazione ha permesso di generare. Per intenderci, senza dubbio la torta si è allargata ma le porzioni vengono spesso distribuite male, sia tra paesi che al loro interno dei paesi. Continuo ad essere convinto della correttezza di associare alla globalizzazione le cosiddette tre “P”, ovvero pace, povertà (nel senso che diminuisce) e progresso. Poi certamente abbiamo assistito a fenomeni come l’aumento delle diseguaglianze e l’impoverimento della classe media in molti paesi, ma ripeto questo è un problema di distribuzione.
Un altro elemento di criticità è il fatto che una interconnessione più stretta fa sì che gli choc (guerre, incidenti, malattie) si propaghino immediatamente a tutto il sistema. Ciò pone problemi anche per la sovranità degli stati, una questione che fu individuata con una certa preveggenza dall’economista Dani Rodrick nella sua idea di trilemma per cui un paese può avere solo due cose tra sovranità, democrazia e globalizzazione, non tutte e tre.
Ma la volontà politica di uno stato di sottrarsi alle dinamiche globalizzate per recuperare una parte della sua sovranità può essere sufficientemente forte da superare i “vincoli” che le interazioni commerciali hanno ormai costruito in modo capillare?
Non si tratta solo di una volontà politica di un governo ma di un orientamento che segue la volontà popolare. E di questi tempi vediamo un po’ dappertutto risorgere orgogli nazionalisti. Un agente puramente razionale probabilmente riterrebbe poco conveniente disfarsi di questi legami commerciali ma questo non significa affatto che ciò non possa accadere. La storia, anche in questo, è maestra. La belle époque, da inizio ‘900 fino allo scoppio della prima guerra mondiale, fu un periodo di fortissima globalizzazione, eppure ciò finì la deflagrazione del conflitto. Insomma, la globalizzazione non è irreversibile, abbiamo visto che non è così. Eppure, di fronte a sfide globali come i cambiamenti climatici, la risoluzioni dei conflitti, la lotta al terrorismo, etc ci sarebbe bisogno più che mai di una stretta collaborazione tra stati per orchestrare azioni coordinate.
Lei fa riferimento alla crisi climatica. Ma le chiedo, in fondo la globalizzazione non è uno dei fattori che ha drammaticamente accelerato questa crisi?
I suoi eccessi certamente si. Quando guardiamo alle gigantesche porta container che solcano gli oceani, trasportando magari dall’Australia beni che potrebbero tranquillamente essere prodotti qui, con un viaggio che produce un altissimo impatto ambientale, ce ne rendiamo facilmente conto. Sono eccessi che vanno verso un ridimensionamento anche perché i costi di trasporto stanno salendo, l’energia costa di più, dal canale di Panama si fatica a passare a causa della siccità, nel mar Rosso ci sono gli Houthi…e via dicendo. Più in generale va però ricordato come, purtroppo, esista una sorta di trade off tra sostenibilità sociale e sostenibilità ambientale. In altri termini, se voglio portare moltitudini fuori dalla miseria. questo comporta un impatto ambientale. Molti studi dimostrano però che in un paese nella prima fase di industrializzazione le emissioni salgono drammaticamente ma successivamente tendano a ridursi in maniera importante.
Come sarebbe secondo Lei la globalizzazione ideale?
In teoria, sulla carta, un mondo di liberi scambi ma con una forte governance globale in grado di fissare regole comuni e affrontare i problemi che si risolvono solo in un’ottica comune, come appunto la distribuzione, l’accesso alle risorse o la crisi climatica. Più realisticamente, torno a guardare alla storia. Nonostante tutti i lati negativi, che ci sono, fasi in cui è presente una superpotenza egemone sono generalmente quelle in cui è aumentata la prosperità e si è ridotta la conflittualità. Il mio non è un auspicio ma una semplice constatazione di quanto accaduto in passato.
Oggi ci troviamo con un’America declinante e una Cina emergente ma non ancora del tutto emersa e probabilmente senza le capacità di assumere questo ruolo di potenza egemone. Il modello cinese rimane molto poco attrattivo a livello internazionale e quindi non in grado di generare attorno a se un diffuso consenso o accettazione. Per la stessa ragione non ritengo molto probabile neppure lo scenario di un”G2″ con i due paesi che si spartiscono sfere di influenza. Torniamo quindi alla frammentazione di cui abbiamo detto all’inizio.
Il declino del ruolo statunitense è irreversibile?
No, non direi. Ma molto dipenderà da quello che accadrà in futuro, a cominciare dalle elezioni del prossimo autunno. Le democrazie liberali, pur con i loro difetti, che ci sono, hanno mostrato nel tempo di avere una grande capacità di rigenerarsi. E, ripeto, al momento non si vedono modelli altrettanto attrattivi. Dovremmo però avere una maggiore consapevolezza del valore della libertà e della democrazie, cose che stiamo dando un po’ troppo per scontate mentre non lo sono affatto. In fondo vale sempre quel che diceva Winston Churchill per cui la democrazia è “il peggior sistema di governo che ci sia ad eccezione di tutti gli altri”.
Globalizzazione sotto la regia di una potenza egemone non è una formula gentile per dire imperialismo?
La parola imperialismo ha una connotazione troppo negativa quindi non la userei. L’egemonia delle superpotenze nel corso della storia ha avuto risvolti sia positivi sia negativi. Roma ha costruito le strade, fatto le leggi, dato una lingua al mondo ma ha anche fatto guerre e schiavizzato popoli. I mongoli hanno reso possibile il commercio e lo scambio culturale e di innovazioni tra Europa e Asia ma l’orda mongola era nota per la sua crudeltà ed efferatezza. L’ Impero britannico ha stimolato commercio e investimenti ma ha sfruttato le colonie e il libro dedica una particolare agli impatti sull’India. Ma, piaccia o meno, in mancanza di regole comuni e cooperazione internazionale, o c’è qualcuno che si assume un ruolo di leadership oppure si rischia di scivolare nel caos.
Economia & Lobby
L’economista Magnani: “Un mondo frammentato e con la globalizzazione in frenata, il rischio è che si scivoli nel caos”
Marco Magnani, economista Luiss Roma e Università Cattolica Milano, manda in libreria Il Grande Scollamento. Timori e speranze dopo gli eccessi della globalizzazione (Bocconi University Press). Il libro ricostruisce storia e tappe dei processi di globalizzazione che si sono sovrapposti nel corso dei secoli ed è una riflessione sullo stato attuale dei rapporti internazionali e sul modo in cui potrebbero evolvere in un prossimo futuro.
Professor Magnani, alla fine del 2001 la Cina entra nell’Organizzazione mondiale del commercio. Segue un ventennio di intensificazione delle relazione commerciali internazionali e di relatività, per qualcuno molto relativa, stabilità. Cosa sta accadendo ora?
L’epoca di quella che potremmo definire la pax americana è al tramonto e siamo entrati in una fase nuova. Il mondo è più diviso di prima e i diversi blocchi sono come placche tettoniche che a volte si allontanano, a volte si avvicinano e altre volte si scontrano. Ci sono sempre più battitori liberi che agiscono ispirati dal pragmatismo e si organizzano cone alleanze a geometria variabile. Penso soprattutto a paesi come India, Brasile o Turchia ma non solo. L’India è uno dei casi più esemplificativi, è alleata con gli Usa e formalmente ancora in guerra con la Cina. Però fa anche parte dei Brics, con la stessa Cina e in parziale contrapposizione con gli Stati Uniti. Nei Brics dovrebbe entrare a breve anche l’Arabia Saudita ed è già entrato l’Iran. Sebbene tra i due paesi ci sia stato di recente un riavvicinamento sotto la regia cinese, rimangono le due potenze contrapposte del Medio Oriente, una sciita e l’altra sunnita. Ci troviamo in una situazione che presenta molti rischi e incognite. Questa frammentazione si traduce altresì in un depotenziamento e in una crisi delle organizzazioni di cooperazione internazionale come l’Onu, l’Oms o il Wto. Lo vediamo anche con la guerra in Ucraina e a Gaza, dove il ruolo svolto da questi soggetti risulta assolutamente marginale. Un mondo più frammentato è un mondo più pericoloso ed il mio grande timore è che questa condizione possa evolvere in un caos generalizzato con costi sociali ed economici potenzialmente enormi.
Ci sono già ricadute economiche e commerciali di questa evoluzione geopolitica?
Non si può ancora parlare di un’inversione di tendenza. I commerci internazionali non arretrano come non lo fanno i flussi di investimenti transfrontalieri. Tuttavia si assiste ad un significativo rallentamento di tutte quelle dinamiche economiche proprie della globalizzazione. Siamo entrati in quella che il settimanale Economist ha definito “Slowbalization”, la globalizzazione lenta. Per quanto concerne nello specifico i commerci, abbiamo assistito a due momenti di crollo, nel 2008 e 2020, che sono però facilmente spiegabili con la grande crisi finanziaria e con il Covid. Più significativo è guardare a quanto è accaduto nel decennio che intercorre tra queste due date. E lì il rallentamento è evidente.
Lei però nel suo libro parla anche degli eccessi della globalizzazione. Questa fase di rallentamento non potrebbe essere l’occasione per ripensare certe dinamiche e impostarle su basi di maggiore sostenibilità?
Capisco il punto ma è bene tenere presente che gli eccessi di cui parlo non sono legati all’intensificarsi dei commerci quanto piuttosto alla distribuzione della ricchezza che la globalizzazione ha permesso di generare. Per intenderci, senza dubbio la torta si è allargata ma le porzioni vengono spesso distribuite male, sia tra paesi che al loro interno dei paesi. Continuo ad essere convinto della correttezza di associare alla globalizzazione le cosiddette tre “P”, ovvero pace, povertà (nel senso che diminuisce) e progresso. Poi certamente abbiamo assistito a fenomeni come l’aumento delle diseguaglianze e l’impoverimento della classe media in molti paesi, ma ripeto questo è un problema di distribuzione.
Un altro elemento di criticità è il fatto che una interconnessione più stretta fa sì che gli choc (guerre, incidenti, malattie) si propaghino immediatamente a tutto il sistema. Ciò pone problemi anche per la sovranità degli stati, una questione che fu individuata con una certa preveggenza dall’economista Dani Rodrick nella sua idea di trilemma per cui un paese può avere solo due cose tra sovranità, democrazia e globalizzazione, non tutte e tre.
Ma la volontà politica di uno stato di sottrarsi alle dinamiche globalizzate per recuperare una parte della sua sovranità può essere sufficientemente forte da superare i “vincoli” che le interazioni commerciali hanno ormai costruito in modo capillare?
Non si tratta solo di una volontà politica di un governo ma di un orientamento che segue la volontà popolare. E di questi tempi vediamo un po’ dappertutto risorgere orgogli nazionalisti. Un agente puramente razionale probabilmente riterrebbe poco conveniente disfarsi di questi legami commerciali ma questo non significa affatto che ciò non possa accadere. La storia, anche in questo, è maestra. La belle époque, da inizio ‘900 fino allo scoppio della prima guerra mondiale, fu un periodo di fortissima globalizzazione, eppure ciò finì la deflagrazione del conflitto. Insomma, la globalizzazione non è irreversibile, abbiamo visto che non è così. Eppure, di fronte a sfide globali come i cambiamenti climatici, la risoluzioni dei conflitti, la lotta al terrorismo, etc ci sarebbe bisogno più che mai di una stretta collaborazione tra stati per orchestrare azioni coordinate.
Lei fa riferimento alla crisi climatica. Ma le chiedo, in fondo la globalizzazione non è uno dei fattori che ha drammaticamente accelerato questa crisi?
I suoi eccessi certamente si. Quando guardiamo alle gigantesche porta container che solcano gli oceani, trasportando magari dall’Australia beni che potrebbero tranquillamente essere prodotti qui, con un viaggio che produce un altissimo impatto ambientale, ce ne rendiamo facilmente conto. Sono eccessi che vanno verso un ridimensionamento anche perché i costi di trasporto stanno salendo, l’energia costa di più, dal canale di Panama si fatica a passare a causa della siccità, nel mar Rosso ci sono gli Houthi…e via dicendo. Più in generale va però ricordato come, purtroppo, esista una sorta di trade off tra sostenibilità sociale e sostenibilità ambientale. In altri termini, se voglio portare moltitudini fuori dalla miseria. questo comporta un impatto ambientale. Molti studi dimostrano però che in un paese nella prima fase di industrializzazione le emissioni salgono drammaticamente ma successivamente tendano a ridursi in maniera importante.
Come sarebbe secondo Lei la globalizzazione ideale?
In teoria, sulla carta, un mondo di liberi scambi ma con una forte governance globale in grado di fissare regole comuni e affrontare i problemi che si risolvono solo in un’ottica comune, come appunto la distribuzione, l’accesso alle risorse o la crisi climatica. Più realisticamente, torno a guardare alla storia. Nonostante tutti i lati negativi, che ci sono, fasi in cui è presente una superpotenza egemone sono generalmente quelle in cui è aumentata la prosperità e si è ridotta la conflittualità. Il mio non è un auspicio ma una semplice constatazione di quanto accaduto in passato.
Oggi ci troviamo con un’America declinante e una Cina emergente ma non ancora del tutto emersa e probabilmente senza le capacità di assumere questo ruolo di potenza egemone. Il modello cinese rimane molto poco attrattivo a livello internazionale e quindi non in grado di generare attorno a se un diffuso consenso o accettazione. Per la stessa ragione non ritengo molto probabile neppure lo scenario di un”G2″ con i due paesi che si spartiscono sfere di influenza. Torniamo quindi alla frammentazione di cui abbiamo detto all’inizio.
Il declino del ruolo statunitense è irreversibile?
No, non direi. Ma molto dipenderà da quello che accadrà in futuro, a cominciare dalle elezioni del prossimo autunno. Le democrazie liberali, pur con i loro difetti, che ci sono, hanno mostrato nel tempo di avere una grande capacità di rigenerarsi. E, ripeto, al momento non si vedono modelli altrettanto attrattivi. Dovremmo però avere una maggiore consapevolezza del valore della libertà e della democrazie, cose che stiamo dando un po’ troppo per scontate mentre non lo sono affatto. In fondo vale sempre quel che diceva Winston Churchill per cui la democrazia è “il peggior sistema di governo che ci sia ad eccezione di tutti gli altri”.
Globalizzazione sotto la regia di una potenza egemone non è una formula gentile per dire imperialismo?
La parola imperialismo ha una connotazione troppo negativa quindi non la userei. L’egemonia delle superpotenze nel corso della storia ha avuto risvolti sia positivi sia negativi. Roma ha costruito le strade, fatto le leggi, dato una lingua al mondo ma ha anche fatto guerre e schiavizzato popoli. I mongoli hanno reso possibile il commercio e lo scambio culturale e di innovazioni tra Europa e Asia ma l’orda mongola era nota per la sua crudeltà ed efferatezza. L’ Impero britannico ha stimolato commercio e investimenti ma ha sfruttato le colonie e il libro dedica una particolare agli impatti sull’India. Ma, piaccia o meno, in mancanza di regole comuni e cooperazione internazionale, o c’è qualcuno che si assume un ruolo di leadership oppure si rischia di scivolare nel caos.
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Amsterdam, 3 feb. –(Adnkronos) - E' nell'ottica di una semplificazione "in linea con i cambiamenti comunicati" a dicembre al momento dell'uscita di Carlos Tavares, la riorganizzazione annunciata questa mattina da Stellantis. Un 'aggiornamento' che rafforza il ruolo delle singole regioni, accorpa ingegneria e software, rilancia su qualità e marketing e vede l'uscita di scena di alcuni top manager. Decisioni - si spiega in una nota - che "consentono il giusto equilibrio tra responsabilità regionali e globali, facilitando la rapidità delle scelte e la loro esecuzione" e "rafforzano ulteriormente l’impegno di Stellantis nell’ascoltare i propri clienti" ponendo "le basi per una rinnovata crescita".
A livello di management, Linda Jackson lascia il gruppo e al vertice del brand Peugeot è sostituita da Alain Favey. Abbandona anche Yves Bonnefont, Chief Software Office, visto che "le attività software sono ora integrate in un’organizzazione di sviluppo e tecnologia del prodotto guidata da Ned Curic allo scopo di semplificare il processo di immissione sul mercato di prodotti e servizi innovativi per tutti i brand in tutti i mercati in cui l’azienda è presente". Nuovo responsabile anche per Jeep, con la nomina di Bob Broderdorf, dal momento che Antonio Filosa - che mantiene il suo attuale ruolo di COO delle Regioni d’America - assume la leadership globale dell’ente Quality, definito "fulcro della promessa dell’azienda ai clienti".
Nuovo capo anche per DS, dal momento che Olivier François - che mantiene la responsabilità di Fiat e Abarth - guiderà un nuovo Marketing Office, per seguire meglio le attività di promozione dei singoli brand e "supportarli al meglio, in particolare attraverso la pubblicità, gli eventi globali e le sponsorizzazioni". Gli enti Corporate Affairs e Communications sono stati uniti sotto la guida di Clara Ingen-Housz e Anne Abboud è stata nominata alla guida dell’unità veicoli commerciali di Stellantis Pro One.
Come sottolinea il Chairman di Stellantis John Elkann "gli annunci di oggi semplificheranno ulteriormente la nostra organizzazione e aumenteranno la nostra agilità e il rigore dell’esecuzione a livello locale. Non vediamo l’ora di guidare la crescita fornendo ai nostri clienti una scelta ancora più ampia di straordinari veicoli a combustione, ibridi ed elettrici”. Confermata la linea sul processo di nomina del nuovo Chief Executive Officer che "è in corso, gestito da un Comitato Speciale del Consiglio d’Amministrazione, e si concluderà entro la prima metà del 2025".
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Siamo vicini ad Antonio Tajani, alla sua famiglia e soprattutto a suo figlio Filippo, vittima di un malore durante una partita di calcio. Gli auguriamo una pronta guarigione, e che possa tornare presto in campo”. Lo dichiarano i capigruppo della Lega alla Camera e al Senato, Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Esprimo il mio più profondo riconoscimento alla Brigata Sassari per il coraggio, la dedizione e l’alto senso del dovere dimostrato durante tutta la missione Unifil. Ringrazio il generale Messina, con il quale sono sempre rimasta in contatto per essere costantemente informata sullo stato del contingente. I nostri soldati hanno affrontato sfide complesse e delicate, portando avanti il nome dell’Italia con grande professionalità. Il loro impegno ha garantito la stabilità in una regione così fragile, e sono fiera di come abbiano rappresentato la nostra Nazione". Lo ha affermato la deputata di Fratelli d'Italia Barbara Polo, componente della commissione Difesa, al rientro del contingente della Brigata Sassari.
"Da sarda, -ha aggiunto- non posso che essere estremamente orgogliosa nel vedere i miei concittadini impegnati con tanto valore nelle operazioni internazionali. La Brigata Sassari è il fiore all’occhiello del nostro esercito, una realtà che continua a distinguersi per preparazione e coraggio”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Ci mancavano i sedicenti comitati civici che spalleggiano gli occupanti abusivi di immobili a rendere sempre più invivibile il quartiere Esquilino, uno dei più belli di Roma da tempo in mano ad immigrati clandestini e bande criminali. Ne ha fatto le spese un bravo giornalista come Luca Telese aggredito per aver difeso i presidi di legalità che dopo le denunce della Lega le istituzioni stanno predisponendo. Telese chiamato ad un’assemblea pubblica da un sedicente Polo Civico ha avuto l'ardire di affermare che cancellate di protezione dei luoghi di socialità non sono poi da demonizzare. Per difendere la possibilità di vivere in pace e nella legalità all'Esquilino di Roma, come in tutte le periferie d'Italia, è necessario che venga subito definitivamente approvato il ddl sicurezza”. Lo afferma il deputato della Lega ed ex magistrato Simonetta Matone.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Nella loro foga alla ricerca del complotto, di qualcuno su cui scaricare le proprie responsabilità, di uno spauracchio a cui assegnare colpe per nascondere le inadeguatezze del governo Meloni, i colleghi di Fratelli d’Italia hanno nuovamente toccato inesplorate vette di contraddizione. L’ultimo attacco frontale è stato riservato a Gimbe e al suo presidente Cartabellotta, colpevole di aver detto con dati inequivocabili che il decreto dell’Esecutivo sulle liste d’attesa è fermo al palo e che solo uno dei sei decreti attuativi è stato già approvato". Lo afferma Andrea Quartini, capogruppo del Movimento 5 Stelle in commissione Affari sociali della Camera e coordinatore del Comitato politico salute e inclusione sociale del M5S.
"Oltre a usare parole estremamente gravi nei confronti di chi porta avanti con serietà e professionalità un preziosissimo lavoro scientifico a tutela della sanità, il senatore Zaffini -aggiunge l'esponente pentastellato- ha però di fatto confermato i ritardi denunciati da Cartabellotta, sebbene secondo lui siano in realtà tempi record. Una contraddizione decisamente bizzarra. E nel frattempo, i medici di medicina generale operano come meglio credono e la proposta di Forza Italia in merito è ancora ben lontana dal concretizzarsi".
"Al presidente Cartabellotta -conclude Quartini- va tutta la mia solidarietà, visto che ultimamente è stato identificato come avversario politico, alla stregua di una forza di opposizione, come persino Bruno Vespa aveva avuto l’indecenza di dire. Questo attacco scomposto, in ogni caso, non fa che confermare la linea di questa maggioranza: è sempre colpa degli altri. Dai magistrati, a coloro che distribuiscono la benzina, fino a Gimbe”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Il nemico del giorno del governo è la Fondazione Gimbe e in particolare il suo presidente Nino Cartabellotta, accusato da esponenti di maggioranza di essere un bugiardo che falsifica i dati perché ‘cavalier servente’ e comunista. Affermazioni di una gravità inaudita contro un organismo indipendente e autorevole come Gimbe, che fa un grande lavoro di raccolta e verifica dei dati sanitari. La colpa di Cartabellotta? Aver fatto notare che a sei mesi dall’approvazione del decreto liste d’attesa mancano ancora cinque dei sei decreti attuativi, cosa tra l’altro confermata dalla stessa maggioranza". Lo afferma Mariolina Castellone, senatrice M5S e vicepresidente del Senato.
"Ancora una volta, questa destra cerca di trasferire su altri le colpe della propria incapacità e si produce in un costante bullismo contro professionisti che fanno il proprio lavoro, cercando di intimorirli. Per fortuna -conclude l'esponente pentastellata- ci sono i numeri a parlare e a smentire la propaganda di governo. E ci siamo noi a tutelare le voci libere e indipendenti”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Quello delle liste di attesa è un tema che riguarda non solo la salute ma anche la dignità della persona. Un tema che richiede senso di responsabilità e che non riscontro nelle dichiarazioni sparate a raffica da esponenti di Pd, 5 stelle e sinistra. Gli stessi che ci hanno consegnato un Servizio sanitario nazionale allo sfascio e per il quale ci stiamo adoperando per rimetterlo in sesto. Il collega Cartabellotta e la Fondazione Gimbe meritano rispetto, in quanto sono giustificati per la mancata conoscenza del lavoro che il Governo ha messo in campo sui decreti attuativi. Non posso al contrario giustificare i colleghi senatori che siedono nella commissione Sanità del Senato presieduta dal presidente Zaffini o i presidenti di Regione che prendono parte alla Conferenza Stato-Regioni". Lo afferma il senatore Ignazio Zullo, capogruppo di Fratelli d'Italia in commissione Sanità in Senato.
"Se non sanno -aggiunge- devo purtroppo arguire che dormono mentre se, come penso, sanno e attaccano il presidente Zaffini, che ha solo voluto puntualizzare il lavoro del Governo in risposta alle valutazioni della Fondazione Gimbe, è grave perché si tratta di un comportamento in grave mala fede. Si può anche non conoscere quanto si stia facendo sul tema, ma il senso di responsabilità vuole che prima di sparare a salve ci si informi e ci si documenti . In questo modo si prenderebbe facilmente atto che quanto annunciato dalla Fondazione Gimbe non è proprio puntuale perché -e lo ha spiegato bene il presidente Zaffini- la situazione riguardo ai decreti attuativi è la seguente: Criteri di funzionamento della piattaforma nazionale e regionali delle liste d’attesa: Il decreto è stato trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni. In attesa del parere della Conferenza Stato Regioni alla quale è stato inviato il 13 settembre 2024".
"Funzionamento della piattaforma nazionale di monitoraggio in coerenza con il modello di classificazione e stratificazione della popolazione, risulta ‘fatto’. Poteri sostitutivi del ministero della Salute in caso di inottemperanza delle Regioni e il rispetto agli obiettivi della legge: decreto trasmesso in Conferenza Stato-Regioni il 6 novembre 2024. Linee di indirizzo per l’attivazione dei sistemi di disdetta da parte dei Cup: il decreto è in fase di definizione da attuare con il Piano nazionale delle liste d’attesa in lavorazione predisposto dalla Direzione generale della Programmazione sanitaria già condiviso con Regioni e Mef. Metodologia per la definizione del fabbisogno di personale del Ssn (superamento tetti di spesa): il decreto è in via di ultimazione. Il Piano di azione per rafforzare i servizi sanitari e sociosanitari (nelle Regioni del Sud destinatarie dei fondi del Piano nazionale Equità e salute): decreto trasmesso alla conferenza Stato-Regioni il giorno 8 gennaio 2025".
"In questo confronto tra Zaffini e i nostri avversari politici -conclude Zullo- si può cogliere la differenza tra noi e loro: noi lavoriamo per mettere riparo agli sfasci che ci hanno lasciato in eredità, loro non sanno andare oltre l’irresponsabile e deleteria polemica sterile, dannosa dell’immagine del nostro Servizio sanitario nazionale”.