Entrare a Rafah, uccidere i membri di Hamas e liberare più ostaggi possibile, costi quel che costi. La linea Netanyahu è chiara e l’esercito israeliano è già passato all’azione: nonostante gli appelli della comunità internazionale, le richieste di evitare l’operazione di terra a Rafah da parte della Germania e l’ennesimo appello americano alla tutela dei civili, le bombe di Tel Aviv hanno colpito nella notte 14 abitazioni e tre moschee della città della Striscia al confine con l’Egitto dove si stanno rifugiando più di 1,5 milioni di persone fuggite dall’offensiva militare dello ‘Stato ebraico’. Il conto è sanguinoso: 100 morti che vanno ad aggiungersi ai circa 28mila dall’inizio dell’operazione militare, per il 70% donne e bambini. Per Netanyahu, però, si tratta di “una delle operazioni di salvataggio di maggior successo nella storia di Israele”.

Di diverso avviso anche il procuratore capo della Corte penale internazionale de L’Aia Karim Khan che ha espresso “profonda preoccupazione” per il bombardamento e per la “potenziale incursione di terra”, avvertendo che chiunque violi il diritto internazionale sarà ritenuto responsabile. L’operazione, però, da Tel Aviv viene presentata come un successo, dato che ha portato alla liberazione di due ostaggi che si trovavano nelle mani di Hamas: gli argentini Fernando Simon Marman, 60 anni, e Louis Har (70), rapiti il 7 ottobre dal kibbutz Nir Yitzhak. I bombardamenti e il blitz per liberare i due prigionieri sono legati tra loro, come spiega il portavoce dell’esercito israeliano, tenente colonnello Richard Hecht: il raid aereo, ha detto, è servito per permettere la cosiddetta “estrazione” delle forze speciali dalla zona.

“Entrambi gli ostaggi sono in buone condizioni mediche e sono stati trasferiti per accertamenti medici all’ospedale Sheba Tel Hashomer – si legge in una nota – Le forze di sicurezza continueranno a operare con tutti i mezzi per riportare a casa gli ostaggi”. Una strategia il cui esito è raccontato in modo diametralmente opposto dal fronte palestinese: nel pomeriggio, infatti, Hamas ha annunciato su Telegram la morte di 3 degli 8 ostaggi israeliani di cui ieri aveva fatto sapere che erano stati feriti nei “barbari attacchi sionisti sulla Striscia di Gaza”. Le Brigate Qassam, ala militare di Hamas, hanno aggiunto che più tardi diffonderanno i nomi e le foto dei morti, “e il destino degli altri feriti sarà chiaro”.

Per parte israeliana, il portavoce militare, Daniel Hagari, ha raccontato che il blitz è iniziato intorno alle 2 di notte, quando “le forze israeliane hanno fatto irruzione in un edificio nel cuore di Rafah dove i due erano tenuti da Hamas”, in un’azione che “era stata preparata da un po’ di tempo“. “Dal momento dell’apertura del fuoco – ha aggiunto – i soldati hanno protetto i due ostaggi con i loro corpi durante la battaglia con i terroristi che è divampata con pesanti scambi di colpi in molti posti e con molti terroristi”. Un’operazione di successo, ha dichiarato il premier: “Avete eliminato i rapitori, i terroristi e siete tornati in Israele senza essere colpiti. Operazione perfetta con un’esecuzione perfetta. All’1.40 del mattino vi ho sentito dire ‘gli ostaggi sono nelle nostre mani'”.

Sarà questa, come confermano le parole del primo ministro Benjamin Netanyahu, la strategia di Israele per arrivare alla totale liberazione degli ostaggi nelle mani di Hamas: “Solo una costante pressione militare, fino alla vittoria totale, ci porterà al rilascio di tutti i nostri ostaggi. Non perderemo alcuna occasione per riportarli a casa”. E non importa se da Berlino siano arrivati gli avvertimenti sul “rischio di carneficina legato a un’invasione di terra nella città meridionale della Striscia. Sono rimaste inascoltate anche le minacce dell’Egitto, Paese solitamente mediatore tra le parti, sul rischio di compromettere la pace del 1979 tra Tel Aviv e Il Cairo. Per il timore di un esodo di massa oltre il valico di Rafah, intanto le autorità egiziane hanno aumentato la presenza di forze di sicurezza.

Tra gli avvertimenti arrivati c’è anche quello inviato da Washington che, per bocca del presidente Joe Biden, ha chiesto al governo Netanyahu di non agire senza un piano per la salvaguardia dei civili. Fonti citate dalla Nbc parlano di un presidente americano furioso per le scelte del premier israeliano, tanto da esternare la sua irritazione con i suoi collaboratori, insultando il capo del governo di Tel Aviv. A volte, riporta l’emittente Usa, Biden si riferisce a Netanyahu semplicemente come “quel ragazzo”, mentre in almeno tre recenti occasioni lo ha definito “uno stronzo“. Il Consiglio per la sicurezza nazionale Usa ha comunque smentito, affermando che nonostante alcuni disaccordi i due hanno una “relazione decennale rispettosa in pubblico e in privato”.

L’ultima potenza, in ordine di tempo, a chiedere lo stop dell’operazione militare è la Gran Bretagna che, con il ministro degli Esteri David Cameron, si è detta “molto preoccupata” per la situazione dei civili palestinesi a Rafah che “non hanno più dove andare”: “È impossibile vedere come si possa combattere una guerra fra la gente“, ha poi aggiunto invitando Israele a “fermarsi e riflettere molto seriamente prima di ogni ulteriore azione militare. Noi vogliamo una pausa immediata dei combattimenti che conduca a un tregua sostenibile senza ripresa delle ostilità”. Ma Netanyahu la pensa diversamente: avanti fino alla fine.

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