L’udienza si è conclusa da poco. La gup ha dichiarato il non luogo a procedere per “difetto di giurisdizione nei confronti del funzionario del Programma Alimentare Mondiale, Rocco Leone, che era accusato insieme al collega Mansour Rwagaza, tutt’oggi irreperibile, di omicidio colposo per aver omesso la presenza dell’ambasciatore italiano in Congo, Luca Attanasio, e del carabiniere Vittorio Iacovacci sul convoglio diretto a Rutshuru attaccato da banditi che hanno poi ucciso i due italiani e l’autista Mustapha Milambo. Il padre del diplomatico, Salvatore Attanasio, in questi mesi non ha perso un’udienza e attendeva con ansia il pronunciamento, più volte rimandato.

Come ha accolto la decisione di oggi? Ve l’aspettavate?
Avevamo il 50% di possibilità, io non davo nulla per scontato. Ma purtroppo è andata così: una decisione che lascia molta amarezza perché secondo noi è mancato il coraggio di portare avanti un dossier spinoso. La giudice aveva tutti gli elementi per poter decidere e ha scelto la strada più semplice. Certo, è stata lasciata sola. Certamente ha influito anche l’assenza dello Stato al processo, che ha indebolito la procura e la posizione della giudice.

Avete mai avuto notizie di pressioni?
No e ci auguriamo che così non sia, altrimenti mettiamo in crisi tutta la nostra democrazia. Sappiamo che il nostro ambasciatore presso le Nazioni Unite era stato convocato dall’ufficio legale di Guterres e questo ci era parso un ingresso a gamba tesa nella vicenda. Però, anche qui, non abbiamo mai saputo cosa si siano detti e quale sia stata la risposta dello Stato italiano a eventuali osservazioni dell’Onu.

Lei in questi anni aveva però ricevuto diverse promesse dal governo. È corretto?
A parole tutti si sono sempre detti concordi nel cercare la verità, nell’essere al nostro fianco, ma come lo si può fare se si fugge dal processo? Constato amaramente una profonda incoerenza tra parole e fatti che non rende credibile l’atteggiamento dello Stato. Il governo avrà anche avuto le sue ragioni, ma a noi nessuno le ha mai spiegate e questo è un elemento di ulteriore sconcerto che solleva anche molti dubbi e molte domande. Una pezza peggiore del buco. In Parlamento in questi mesi sono state depositate cinque fra interpellanze e mozioni, tutte senza risposta o con risposte assolutamente superficiali. È una mancanza di rispetto per ciò che è accaduto. Parliamo di un rappresentante dello Stato caduto in servizio: uno Stato serio dovrebbe fare di tutto per cercare la verità e invece fa di tutto per render difficile questo percorso.

Sono accuse pesanti.
Spiego con un esempio: abbiamo appreso che la nostra diplomazia non ha mai chiesto la revoca dell’immunità per i due imputati, in questi tre anni, e l’abbiamo appreso durante il processo per bocca degli avvocati della difesa. Un fatto grave, tanto più perché ci era stato garantito dal sottosegretario Mantovano l’interessamento dello Stato per intervenire attraverso i consiglieri diplomatici all’Onu. Intervento che non c’è mai stato. È veramente una grande delusione. Questo denota tutta la debolezza dello Stato italiano davanti ai poteri forti. Uno Stato serio non dovrebbe essere ricattabile. E invece si sono comportati così perché temono o temevano ritorsioni da parte di questi organi internazionali e ciò stride enormemente con l’immagine di un governo che parla di patria e patrioti. Se non era un patriota Luca, chi lo potrebbe essere? La presidente Meloni abbia il coraggio di venire da me, papà di Luca, a spiegare il comportamento dello Stato: se non lo fa, non ha diritto di parlare di patria. Uno stato senza coraggio sarà sempre succube degli altri, non potrà mai avere voce in capitolo. Il coraggio che Luca aveva da vendere, sempre pronto a difendere l’Italia e l’italianità, merita un po’ più di rispetto. Un rispetto che non si dà solo con medaglie e premi, ma con la ricerca di verità, mandanti e colpevoli.

In questi anni quali istituzioni avete incontrato?
Abbiamo avuto incontri ufficiali con il ministro degli Esteri, con il sottosegretario Mantovano, io ho anche fatto visita privata al presidente del Senato: tutti comprensivi e vicini, a parole, però i fatti dimostrano il contrario. A me e al mio avvocato, Mantovano aveva assicurato di attivare il consigliere diplomatico alle Nazioni Unite e invece nessuno ha fatto nulla. Ho sollecitato più volte un incontro con la presidente Meloni, seguendo tutte le regole del protocollo, ma le richieste cadono nel vuoto, non abbiamo mai ricevuto una risposta. Avevo scritto anche a Tajani quando lo Sato non si è costituito parte civile, non mi ha mai risposto. Un silenzio che denota imbarazzo e incapacità di dialogo, un silenzio che fa nascere dubbi e nasconde chissà quali verità.

Pochi giorni fa, la Regione Lombardia ha approvato all’unanimità una mozione che chiedeva al governo l’impegno sul caso.
Sì, è stato un gesto importante. È importante che una regione come la Lombardia abbia preso posizione e che lo abbia fatto all’unanimità, chissà che anche altre non seguano l’esempio. Il fatto di cui parliamo è così grave che colpisce l’orgoglio italiano e non può passare in secondo piano, non va relegato alle pagine di cronaca ma è un atto politico e come tale andrebbe trattato. Luca era un servitore dello Stato e lo Stato ha il dovere di prendere posizione, non può far finta di niente, altrimenti non è uno Stato, è un’accozzaglia alla mercé dei poteri forti. Debole con i forti e forte con i deboli: ricordiamo che nel processo che si è svolto in Repubblica Democratica del Congo lo Stato era parte civile, mentre in Italia si china davanti ad altri interessi. Non ha senso se non per timore di ritorsioni. Quando il ministro Tajani è venuto nel nostro comune, a Limbiate, durante la campagna elettorale, non ci ha avvisato, non è nemmeno andato sulla tomba di Luca, mostrando totale insensibilità. Sarebbe stato un atto di dignità e rispetto verso un suo alto funzionario. Io sono pronto a un confronto con loro, a un dibattito aperto con chiunque abbia il coraggio di metterci la faccia e spiegarmi le scelte del governo.

Fra pochi giorni ricorre il terzo anniversario dell’uccisione di Luca, Vittorio e Mustapha. Questa notizia non rende loro giustizia
Già, proprio a ridosso dell’anniversario arriva una sentenza del genere, scandalosa. Che amarezza.

Come procederete ora?
Ci sarà un ricorso. Nel processo noi non possiamo interferire avendo rinunciato a essere parte civile. C’è poi un secondo filone d’indagine, ancora aperto e dunque secretato finché non si chiudono le indagini. È un filone importante perché cercherà di ricostruire quello che realmente è accaduto, per demolire l’ipotesi di un tentato sequestro. Già in questo processo si delineavano elementi in contrasto con la versione del rapimento, ma purtroppo questo processo non partirà e non possono essere messi in evidenza.

La società civile vi è vicina?
Abbiamo l’appoggio delle Acli nazionali, il cui presidente ha scritto un articolo molto forte pochi giorni fa. L’Anpi oggi era presente all’udienza. Nella nostra zona tutte le associazioni sono mobilitate. Ma certo manca una mobilitazione popolare. Anche se in questi tre anni ho partecipato a decine di incontri, ricevo inviti e vado a parlare ovunque mi chiamino, trovo ascolto, sensibilità, manca quel passo in più che renda la vicenda di Luca, Vittorio e Mustapha una questione di popolo. Chiudo con un appello: chi sa parli, perché la giustizia è lenta ma prima o poi arriva e quando arriva non guarda in faccia a nessuno. È bene che chi sa parli, ora.

Twitter: @simamafrica e @GianniRosini

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