Circa 375mila tende sparse in 15 luoghi diversi lungo la costa di Gaza per accogliere la popolazione da sfollare dalle città. Così da poter procedere con i bombardamenti e l’operazione di terra a Rafah. È questo, secondo il Wall Street Journal, il piano di sfollamento di massa presentato da Israele all’Egitto che comprenderebbe i territori costieri che vanno dal sud di Gaza City fino a Moassi, a nord di Rafah. Il tutto da realizzare grazie al sostegno economico di Stati Uniti e Paesi arabi.
Una proposta che difficilmente troverà l’approvazione di Washington, del Cairo e di altri Stati anche alleati di Israele che ormai da settimane chiedono lo stop ai bombardamenti indiscriminati e l’avvio di un dialogo che parta da un cessate il fuoco a lungo termine. Dopo gli Usa, Berlino, la Gran Bretagna, arriva anche la Cina a chiedere lo stop “il più presto possibile” dell’operazione nella città della Striscia al confine con l’Egitto: “La Cina si oppone e condanna le azioni che danneggiano i civili e violano il diritto internazionale”, si legge nella nota in cui Pechino esorta Israele a “fermare le sue operazioni militari il prima possibile e fare ogni sforzo per evitare vittime civili innocenti, per prevenire un disastro umanitario più grave nella zona di Rafah”.
Joe Biden, nella serata di lunedì 12 febbraio, dopo l’incontro alla Casa Bianca con re Abdallah di Giordania, ha fatto sapere che “gli Stati Uniti stanno lavorando ad una tregua tra Israele e Hamas di almeno sei settimane“. E il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, secondo quanto riporta l’agenzia Interfax, commentando la proposta americana, ha dichiarato che la Russia è “pronta a sostenere qualsiasi azione che possa aiutare a liberare gli ostaggi e raggiungere un cessate il fuoco” a Gaza. “Tali azioni dovrebbero essere costruttive e mirare ad una risoluzione globale dei problemi in linea con il diritto internazionale e con i precedenti e ben noti impegni del Consiglio di Sicurezza” dell’Onu, ha detto ancora il portavoce di Putin. Proprio per parlare di un ipotetico accordo di tregua di sei settimane che comprenda anche la liberazione degli ostaggi, è in corso al Cairo, un incontro tra Egitto, Stati Uniti, Qatar e Israele. A guidare la delegazione di Hamas al Cairo è Khalil al-Hayya, vice del leader di Hamas a Gaza Yahya Sinwar. In Egitto sono arrivati fra gli altri, il capo della Cia William Burns, il capo del Mossad David Barnea, il capo dello Shin Bet Ronen Bar e il maggiore generale Nitzan Alon e il primo ministro e ministro degli Esteri del Qatar Mohammed bin Abdulrahman Al Thani. Secondo il Times of Israel, che cita due fonti che conoscono quanto sta accadendo al Cairo, Israele e Hamas avrebbero fatto “progressi” sulla tregua. Secondo un esponente egiziano i mediatori hanno raggiunto ciò che hanno descritto come un progresso “relativamente significativo” e che le parti ora si focalizzano sulla stesura di “una bozza finale” per un cessate il fuoco di 6 settimane con la garanzia di ulteriori negoziati per uno permanente.
Anche il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, parla ormai di “reazione spropositata” da parte di Tel Aviv. Dopo aver criticato le affermazioni della relatrice speciale Onu, Francesca Albanese, secondo cui quello del 7 ottobre non è stato un attacco antisemita, il capo della diplomazia italiana, durante un’intervista a a PingPong su Radio1Rai, ha affermato che “è giusto spingere Israele verso la prudenza”: “Ci sono troppe vittime che non hanno a che fare con Hamas – ha affermato – Abbiamo sempre invitato Israele ad evitare rappresaglie che colpissero in maniera così violenta la popolazione civile palestinese che non è Hamas. Non tutti i palestinesi sono Hamas. Bisogna puntare alla liberazione degli ostaggi in mano ai terroristi ma, allo stesso tempo, bisogna far sì che cessi questa violenza degli attacchi israeliani che sta provocando troppi morti civili”, ha detto Tajani. In merito alla polemica di Sanremo che ha provocato la reazione dell’ambasciatore israeliano, Tajani ha spiegato che “è stato riportato l’equilibrio con l’intervento di Venier” e che “non credo ci sia un genocidio. Anche se Israele sbaglia perché ci sono troppe vittime civili”.
Intanto il governo del Sudafrica, dopo quanto sta accadendo a Rafah, e dopo essersi già rivolta all’Aja per quanto sta accadendo nella Striscia di Gaza, ha chiesto alla Corte internazionale di giustizia di valutare se la decisione di Israele di estendere le operazioni militari spinga la corte a usare il suo potere per prevenire ulteriori violazioni dei diritti dei palestinesi. E anche la Siria parla del rischio di “ripercussioni catastrofiche” nel caso di ulteriori offensive militari nella città di Rafah. Per il ministero degli Esteri di Damasco, che non risparmia accuse agli Usa, l’attuazione da parte di Israele di “piani pericolosi e disumani a Gaza” costituirebbe “una grande minaccia per la sicurezza e la stabilità nella regione” e il Paese arabo chiede l’intervento della Corte internazionale di giustizia per “fermare il genocidio”.