C’è un giorno cerchiato in rosso sul futuro dell’Ilva, in bilico tra il divorzio tra i soci e l’amministrazione straordinaria. Il governo ha convocato i sindacati lunedì pomeriggio a Palazzo Chigi e, visti i tempi stretti ormai rimasti per risolvere la crisi di Taranto, la sensazione è che sarà quella sede in cu l’esecutivo comunicherà ai metalmeccanici quale sarà il destino dell’acciaieria. ArcelorMittal e Invitalia – i soci in lite da mesi – stanno continuando a trattare una separazione consensuale, senza finora aver trovato un’intesa che permetterebbe una soluzione ponte senza attivare l’amministrazione straordinaria, il cui quadro giuridico e di tutele è già stato predisposto da due decreti del governo. Ma un accordo, al momento, appare lontano.

Per l’amministratrice delegata di Acciaierie d’Italia, Lucia Morselli, Mittal “ha già detto che è disponibile a cedere la maggioranza” con un conseguente “cambio di governance” in una lettera all’esecutivo. Insomma, a suo avviso, “la strada migliore è sempre e solo il negoziato”, ha detto dopo l’audizione in commissione Industria al Senato. Davanti ai parlamentari, la manager ha fornito la sua versione riguardo alla genesi della crisi che affonderebbe le sue radici addirittura nella pandemia, nella cui seconda fase – in realtà – le acciaierie di mezzo mondo hanno fatto affari d’oro. “Si sono rotte tutte le catene di supply chain, poi è arrivata la guerra in Ucraina con l’esplosione del costo del gas”, ha ricostruito Morselli arrivando a citare tra i diversi shock di questi anni anche la chiusura delle miniere in Kazakistan, senza ricordarne però la proprietà (ArcelorMittal) e il motivo del loro stop (un incendio che ha provocato 45 morti).

“Il problema di questa azienda è la liquidità, non ne abbiamo accesso perché non siamo proprietari degli impianti”, ha detto ancora Morselli aggiungendo che un terzo dei 3 miliardi di debiti del gruppo sono “virtuali” poiché è il prezzo di acquisto delle acciaierie da Ilva in amministrazione straordinaria che ne è ancora proprietaria (il contratto di affitto scade a maggio). La liquidità, secondo la visione dell’ad, sarebbe anche anche alla base dei problemi di produzione con gli appena 3 milioni di tonnellate prodotte nel 2023, il 25% in meno dell’obiettivo fissato: “Abbiamo prodotto in base alle materie prime che potevamo comprare. Ci sono mancati 350 milioni di euro di tax credit e altri 320 richiesti ai soci e mai arrivati – è stata la sua spiegazione – Non abbiamo problemi di mercato, non abbiamo problemi a vendere. Ci manca la liquidità per far funzionare la macchina che è in buono stato perché abbiamo fatto 2 miliardi di euro di investimenti”.

Qualcuno ha ricordato che ad Acciaierie d’Italia sono arrivati anche 680 milioni di euro da Invitalia in forma di prestito obbligazionario: “Sono andati tutti a Eni e Snam per pagare il gas, sono andati tutti al signor Putin, sono il costo di una guerra. Solo in minima parte siamo riusciti a utilizzarli per pagare le fatture alle ditte dell’indotto”. Che, ha chiarito l’amministratrice delegata, lo scorso 31 dicembre avevano “72 milioni di euro di crediti scaduti”. Un monte di debiti in capo ad Acciaierie d’Italia che crescerà di poco perché “a gennaio hanno smesso di lavorare”, poiché gli operai sono entrati in sciopero a causa del mancato pagamento degli stipendi. Tra una bordata ai commissari di Ilva in as (“Non hanno voluto vedere l’acciaieria, non abbiamo segreti”) e la stroncatura dell’amministrazione straordinaria (“Avrebbe effetti terribili, si è visto nel 2015″), l’ad si è anche spinta nella difesa di Mittal, che l’ha scelta come amministratrice delegata oltre cinque anni fa: “Ha comprato per chiudere? Non c’era bisogno di spendere 2 miliardi, perché è il più grande player mondiale e può incidere su prezzi e mercato. Poteva chiuderla senza comprarla”.

Intanto continua la battaglia con Sace sui dati relativi alle ditte creditrici, fondamentali affinché si possa attivare un ombrello in caso di amministrazione straordinaria. Acciaierie d’Italia ha fatto sapere in mattinata di aver fornito i dati di 78 imprese arrivate da Aigi (associazione datoriale che raggruppa l’80% delle ditte dell’indotto) e di essere pronte a fornirne altri con “tempestività”, ma il gruppo assicurativo controllato dal ministero dell’Economia ritiene la lista “parziale e incoerente”. L’elenco infatti conterrebbe circa 4.000 aziende e, sottolinea Sace, dei 78 nominativi inoltrati “non hanno neanche comunicato quale sia la composizione del debito e se effettivamente siano crediti certi liquidi ed esigibili, se eventualmente ci fossero cessioni già effettuate ad altri istituti, se insistono contestazioni o azioni legali”.

Insomma, una comunicazione “svuotata” di valore, ha comunicato il gruppo al ministero delle Imprese. “Il fatto stesso che trasmettano una lista da parte di un’associazione di categoria delle imprese – spiegano fonti vicine al dossier – spersonalizza il rapporto tra la controparte (su cui deve peraltro insistere la valutazione creditizia) e l’intermediario finanziario”. Acciaierie d’Italia, nella sostanza, “non ha fornito alcuna informazione estratta dai loro database/contabilità – concludono le stesse fonti – rivelando, come peraltro già avvenuto nella call di lunedì, l’effettiva mancanza di volontà di valutare un’operazione di finanziamento strutturata in pool con altri operatori di mercato”.

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